Bulli e pupe. In questo cinepanettone genovese è la risata che fa Cassazione
di Alessandro Robecchi
Capisco bene l’irritazione per gli affari di pochi farabutti oliati con soldi di tutti, cioè nostri, le infiltrazioni mafiose, i favori, le cortesie per gli ospiti, le spartizioni decise sugli yacht, le porcherie, la corruzione, gli affidamenti agli amici, ai figli, i bracci destri, sinistri, e tutta la merda del nostro scontento. Va bene, non è una cosa nuova, non ci stupiremo per questo. E nemmeno per le reazioni: eh, piano, piedi di piombo, terzo grado di giudizio, presunzione di innocenza, cose-che-si-dicono-al-telefono, e tutto il campionario che balza fuori ogni volta che si becca un potente, e che manca all’appello per gli sfigati. Se ci fate caso il famoso ipergarantismo, come tutto il resto, è una questione di reddito, se ne fa gran dispiego a corrente alternata, perché quando c’è da giudicare un poveraccio, invece è tutto un pene esemplari e buttare la chiave.
Lo so, non vi dico niente di nuovo. Ed è anche per questo che non intendo qui parlare di indagini, processi, giudici, interrogatori e cose così, come si dice: la giustizia faccia il suo corso, ma mi preme invece cogliere il lato per così dire culturale della faccenda, deprimente tanto quanto.
Letta qualche intercettazione, qualche sintesi dei giornali, spiluccando qui e là nella mediocretta weltanschauung dei coinvolti – indagati e non – ci ritroviamo in bilico tra suggestioni letterarie e para-letterarie, più o meno nobili, più o meno sconvenienti. I più colti potrebbero trovarsi catapultati nei racconti esilaranti di un Damon Runyon, quello di Bulli e pupe e di altri mirabolantissimi racconti. Roba magistralmente scritta negli anni Venti e Trenta, piena di biscazzieri, gangster, proprietari dei moli sull’Hudson, signorine allegre, Casinò e dollari facili.
C’è il riccone che chiede due ragazze per i massaggi, anzi tre, c’è quello che regala la borsetta firmata, o il braccialetto, o le fiches per giocare alla roulette. Poi c’è il traffichino a corto di soldi che chiede un aiuto per il matrimonio della figlia, e qui sembra proprio di leggere Runyon, “Ero sulla quarantaduesima pensando a meno che niente, e mi mancavano 13.000 verdoni per fare felice la mia bambina”. Chapeau!
Ma qui voliamo alto, signori, conviene planare un po’. Perché poi si inserisce nella faccenda il filone italianissimo del cinepanettone, dato che a Montecarlo ci va “la soubrette”, e pure la “donna del martedì” (giuro, ndr) e il riccone ha il problema di non farlo sapere alla sua donna, così chiama quell’altro di stare attento e non farsi scappare che ci sarà M.V., la romagnola di 32 anni che viene dritta da Cesenatico.
Puro Neri Parenti, vanzinismo applicato, con la signora X che vede (sui social) il braccialetto al polso della signorina Y e si inalbera per lo sfregio, sapendo che è stato comprato a Monaco, perché a Genova Cartier non c’è (dannazione). E pare di vedere i Boldi o i De Sica in mutande sul cornicione mentre tentano la fuga. E le cene, e lo champagne, e la vita dorata, e l’albergone con tante stelle, e come si diverte questa classe dirigente che non dirige niente se non i cazzetti suoi.
Insomma, un quadro desolante che più non si potrebbe, desolanti i desideri, desolanti le ambizioni, desolanti i simboli di ricchezza e potere, desolante la portata culturale, sia della politica che dell’imprenditore che se la compra con due aragoste e un braccialettino. Come vedete, il codice penale non c’entra. niente, per il ridicolo non ci sono tre gradi di giudizio, è la risata che fa Cassazione
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