venerdì 7 settembre 2018

Vergogna pennaiola



Anatomia di una prima pagina: ho cercato di rimanere equidistante, ho analizzato i titoli ma non sono riuscito a vincere il disagio dinnanzi a questa stortura epocale: partendo dal titolone evidenziante le gravi mancanze di Autostrade, senza nominare naturalmente Atlantia, né i Benetton, ecco l'immagine un po' comica del Premier che ieri ha visitato le zone colpite dal terremoto ad Ischia, con tanto di articolo al seguito sbeffeggiante lo stesso, forse con un pizzico di ragione. E poi la Lega, Trump, i vaccini e il dietrofront grillino. Mancano almeno due notizie cavolo: vogliamo dirlo che è stato approvato il decreto contro la corruzione, promesso da tanti governi precedenti e mai attuato? Non è una notizia? Il Daspo definitivo, ossia il fuori dai coglioni eterno per chi corromperà, ricevendo una condanna superiore ai due anni? Nulla. Ma la più clamorosa assenza è l'accordo sull'Ilva magistralmente diretto dal ministro Di Maio, che ha ricevuto i complimenti dal Presidente Mattarella e dai sindacati tutti. Una dimenticanza? Non credo proprio. Questa Gazzetta dei Poteri Forti ha evitato di evidenziare un successo dell'attuale maggioranza, pubblicando l'articolo, non potevano farlo, a pagina 22. Ma c'è di più. A pagina 23 ecco arrivare un commento di tale Chiara Spagnolo, che riporto fedelmente:

ECONOMIA
La protesta
La città delusa
La rabbia di Taranto "Traditi dai 5 Stelle"

CHIARA SPAGNOLO,
Dalla nostra inviata

TARANTO
Una città ferita che ha paura di morire.
Taranto non è una città sollevata nel giorno in cui al Mise è stato firmato l’accordo per la cessione dell’Ilva ad Arcelor Mittal. È delusa. Innanzitutto dal Movimento 5 Stelle, che in campagna elettorale aveva promesso la chiusura delle fonti inquinanti del siderurgico e a distanza di sette mesi ha suggellato la cessione. La contestazione è nell’aria. Davanti alla fabbrica in cui i pentastellati avevano raccolto una parte consistente di quel 47% che li aveva fatti diventare il primo partito della città. E poi sui social, dove la base si rivolta contro la dirigenza, e nelle strade. In piazza Della Vittoria, durante le 24 ore di sit-in al grido "Non c’è più tempo", si presenta la deputata pentastellata Rosalba De Giorgi.
La chiamano «venduta», le urlano «ci hai traditi», lei abbozza una replica ma va via sotto scorta. La tensione è alta e la rabbia negli occhi delle mamme che hanno perso i bambini, di chi ha dovuto piangere mariti, fratelli, amici, colleghi. L’accordo che a Roma è stato salutato come un successo, in questa Puglia che fu Magna Grecia diventa una beffa. Perché la salvaguardia dei posti, che pure si è strappata a fatica, non restituirà la salute a chi l’ha persa respirando i fumi dell’acciaieria. «I morti non torneranno — dice un operaio 43enne — e domani potrebbe toccare a uno di noi».
Disapprovazione e rassegnazione. Come accade da anni in una terra che è stata obbligata a scegliere fra salute e lavoro. E che pochi mesi fa aveva creduto nel miracolo 5 Stelle, quello che avrebbe invertito la rotta e chiuso le fonti inquinanti, che avrebbe bloccato le grandi opere: «Non soltanto l’Ilva — ricorda Virginia, del Comitato cittadini liberi e pensanti — ma anche il gasdotto Tap». La promessa era allettante: non chiusura ma riconversione, come aveva detto Beppe Grillo quando era venuto a Taranto.
Illusioni crollate in pochi mesi.
Che hanno riportato la gente per strada, mentre il sindaco Rinaldo Melucci si diceva soddisfatto «nonostante ci sia ancora tanto da fare in termini di bonifiche, tutela della salute e diversificazione produttiva». E l’arcivescovo, monsignor Filippo Santoro, parlava di «un punto di partenza che sembra positivo». Per molti tarantini, invece, questo è il punto del non ritorno. E per questo hanno deciso di passare la notte in piazza, come spiega Antonella Coronese del comitato Help Us: «Siamo stremati, abbiamo bisogno di supporto psicologico per andare avanti». Andare dove?
Molti vorrebbero fuggire via da Taranto, quasi nessuno può farlo.
«Chi vive ai Tamburi è come un condannato a morte». Nel quartiere in cui anche gli edifici sono diventati rossi, nulla ha più valore, né la salute né le case. Il destino appare segnato. E gli investimenti annunciati per la riconversione in impianto pulito vengono considerati inutili: «Nel contratto è stata mantenuta l’impunità per l’acquirente», dicono gli operai. Per loro significa che il nuovo proprietario potrà continuare a inquinare impunemente come fecero i Riva anche se il governatore Michele Emiliano avvisa: «Senza garanzie sulla salute non darò mai il mio assenso al piano ambientale». «E anche a non investire in sicurezza sul lavoro», dice Alessandro Semeraro, lavoratore con un passato da sindacalista deluso. Del resto, 12 morti sul lavoro in sei anni sono una una maledizione: la stessa che il 17 maggio ha portato via Angelo Fuggiano, che a 28 anni lavorava nell’Ilva per una ditta dell’indotto. Abitava ai Tamburi e respirava diossina dentro e fuori il siderurgico. «Forse è una fortuna che non abbia visto questa giornata in cui dicono che tutto è cambiato ma tutto è rimasto uguale», dice un suo amico.


Capite l'invereconda sintesi, la malevola ed infingarda azione di sciacallaggio giornalistico? Siccome il M5S si è sempre dichiarato favorevole alla chiusura dell'Ilva per poi, costretto dagli accordi precedenti, chiudere con Arcelor Mittal, ottenendo un successo politico senza precedenti, che cosa stampa questa cooperativa di improvvidi pennaioli? Un articolo strappalacrime, tirando fuori morti e ammalati, il vescovo, la condanna a morte del rione Tamburi, cosa non vera per via dell'impegno scritto di Arcelor Mittal a migliorare di gran lunga le opere anti inquinamento. Lo posso testimoniare: Repubblica negli anni precedenti, quando tutto girava grazie ai "loro beniamini" si è sempre spesa per l'occupazione che l'Ilva garantiva, tralasciando le note di dolore causate dal gravissimo inquinamento, specie nel rione Tamburi. Ora che il vento, per fortuna, è cambiato, ecco questo giornale trasformarsi in paladino ambientalista, evidenziando problemi da sempre in auge, facendo parlare coloro che si sentono traditi dalla politica del movimento. Parole scritte per tornaconti personali, agghiacciante tentativo di strumentalizzare un successo politico. Un'abissale vergogna ed un insulto alla verità.

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