mercoledì 20/06/2018
PIOVONO PIETRE
Le polpette di Salvini per i cani di Pavlov. Tanto i padroni fanno festa
di Alessandro Robecchi
Storiella vecchia ma sempre valida: sul tavolo ci sono dieci panini, il padrone se ne mangia nove, e poi ammonisce i lavoratori: attenti, che il rom vi frega il panino! È un giochetto vecchio come il mondo che paga sempre e porta le classi subalterne a vedere il pericolo sotto di loro e non sopra. Eppure non ci vuole un esperto di flussi di consenso per scoprire il gioco di Salvini: una sparata feroce ed estremista, alti lai e lamentazioni di chi gli si oppone, una minima correzione di rotta per dire: lo avevate già fatto voi. Cos’ho detto di male?
Con una fava, due piccioni: si sposta l’asse del dibattito verso destra (perché non prendersela coi rom? Siamo rom, noi? No, e allora che cazzo ce ne frega?…) e al tempo stesso si fa passare chi si oppone per il vecchio un po’ bolso cane di Pavlov. Il cane di Pavlov, come al solito, ci casca con tutte le scarpe: quando leggi che quelli del Pd si vantano che loro sì avevano fermato i flussi migratori (stoppandoli in confortevoli lager libici), capisci che da lì non si esce, perché si pone un’infamia contro un’infamia e alla fine un popolo spaventato, impoverito, insicuro sul suo futuro, sceglie l’infamia peggiore perché gli sembra quella più tranchant e secca: via le Ong, schediamo i rom, i neri pussa via. La domanda da farsi è: chi riuscirà a fermare questa deriva? Chi si è inventato il daspo per i barboni (decreto Minniti, brutta fotocopia del decreto Maroni del 2008, quello delle “ordinanze creative” che dimostrò come anche i sindaci possono essere parecchio scemi)? Oppure chi oppose al grottesco “aiutiamoli a casa loro” delle destre una ridicola variante: “Aiutiamoli davvero a casa loro” (cfr, Matteo Renzi).
Insomma, sia messo a verbale che è assai difficile opporsi al salvinismo, malattia analfabeta del fascismo, se sei mesi fa si dicevano – con altri toni e vestiti meglio – più o meno le stesse cose. E questo riguarda chi sta in basso, cioè, i capri espiatori, variabili e numerosi, da additare al proprio pubblico plaudente: sei pagato tre euro l’ora, licenziabile a piacere, demansionabile, sfruttabile fino all’osso, ricattabile, umiliabile, ma lasci che qualcuno indirizzi la tua rabbia verso chi sta peggio e non verso chi sta meglio e ti sta derubando. Ti incazzi con un poveraccio che ruba un po’ di rame e ti dimentichi di quello che si è messo in tasca 600.000 euro in una notte grazie a una dritta di Renzi sulle banche popolari. Un classico.
Grazie alle sue armi di distrazione di massa, e al cane di Pavlov che ci casca con tutta la ciotola di crocchini, di Matteo Salvini si finisce a guardare soltanto la vena nazional-manganellista, decisamente schifosa, ma che è solo una delle due fasi. L’altra fase, mentre si picchiano gli ultimi, è lisciare il pelo ai penultimi. L’ovazione ricevuta da Confcommercio, per esempio, chiosava un discorso di Salvini articolato come un semplice sillogismo. Uno: niente limite ai contanti. Due: via l’Imu per i negozi sfitti. Risultato dell’equazione: si affitteranno negozi in nero (contanti); negozi che ufficialmente risulteranno sfitti (quindi esentasse): questo sì che è un regalone, mica due detrazioni piazzate qui e là. E ancora una volta il piccolo Scelba lumbard potrà dire: cos’ho detto di male? Il tetto ai contanti non lo avevate alzato anche voi? Scacco matto.
Finché si starà a questo gioco, Salvini avrà davanti un’autostrada (senza autovelox) e chi non è d’accordo verrà ridicolizzato (compresi quelli che già si sono molto ridicolizzati da soli, travestendo da “gauchiste” politiche da destra liberale) oppure mangiato lentamente (una forza con 32 per cento che si fa comandare a bacchetta da uno col 17). Il cane di Pavlov abbaia, gli altri tutti contenti: il rom non gli ruberà più l’unico panino gentilmente lasciato sul tavolo dal padrone, contento come un agrario nel ’22.
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