venerdì 21 luglio 2017

Illuminante per una mefitica ombra


A leggere l'articolo qui proposto, prende un'insana malinconia, tendente alla rassegnazione. 
Forse non ci si può fare più nulla. E' maledettamente troppo tardi. Come se tra dieci anni, dopo che l'imbelle Trump ha stracciato gli accordi di Parigi, si tentasse di porre freno al riscaldamento globale bloccando l'emissione di anidride carbonica. Sarebbe e sarà anche in quel caso, troppo tardi. 

Viviamo immersi in un sistema invulnerabile, onnivoro, tanto perfetto da annichilire la maggior parte dei viventi. 
Chi ha i soldi, ruba alla collettività. Ecco il dogma di questo millennio. Non ci sono eccezioni alla regola. Tutti, chi più chi meno, dei miliardari incalliti sparsi nel globo, sottrae risorse agli altri. E lo fa spaventosamente bene, senza lasciar tracce, senza temere giuste condanne. Impuniti s'aggirano in amene località con fare da gradasso, senza vergogna, senza rimorsi. 
Miliardi di poveri Lazzaro attendono le briciole, moltissimi neppure quelle. La rassegnazione ha raggiunto picchi impensabili. I giovani non cercano neppure più lavoro e tra qualche lustro ci saranno eserciti di nullatenenti, di sfruttati con voucher e part time, ad elemosinare un pasto in qualche mensa per poveri. 
Nulla e nessuno può scalfire un ordinamento fondato sul Lucro. 
Leggete questo articolo tratto dal Fatto Quotidiano di oggi, e rassegnatevi! 

30 miliardi imboscati e stanno tutti zitti

di Elio Veltri
  
Cesare Beccaria, nel suo capolavoro Dei delitti e delle pene, che ha influenzato la cultura giuridica e civile dell’Europa, scrive: “l’unica e vera misura dei delitti è il danno fatto alla nazione”.

Nei Panama Papers è comparsa la terza lista di italiani con società nei paradisi fiscali: dopo quella Falciani e della banca svizzera Credit Suisse, sede di Milano, è la volta dello studio legale Ramon Fonseca e Jurgen Mossak di Panama. Per quanto è emerso dalle inchieste dell’International Consortium of Investigative Journalists di cui fa parte L’Espresso, si tratta di oltre 25 mila italiani che hanno imboscato circa 30 miliardi di euro nei paradisi fiscali per non pagare le tasse. Una mega finanziaria.

La ricchezza individuale nascosta nei paradisi viene stimata 7600 miliardi di dollari. Più del Pil di Germania e Regno Uniti insieme e quattro volte quello italiano. Soldi necessari per gli investimenti a sostegno dello sviluppo, per contenere il debito pubblico, garantire i servizi essenziali che si privatizzano.

Ma i soldi non si trovano più perché basta un colpo di mouse per spostarli in altri 10 paradisi fiscali. La soluzione del problema è politica e amministrativa: l’Europa dovrebbe varare norme che prevedano la chiusura dei paradisi fiscali europei ed embarghi finanziari per quelli degli altri continenti.

Nel dicembre del 2009 il Procuratore della Repubblica Vito Zingani alla Gazzetta di Modena aveva dichiarato: “Anche a Modena i soldi sporchi alimentano l’economia locale, quella onesta. Se per magia avessi il potere di sradicare il crimine dalla città, mi caccereste perché l’avrei rovinata”. In tempi recenti Antonio Costa, ex responsabile Onu per la criminalità organizzata, a Report ha affermato che tra il 2007-2008 banche italiane e non solo, in crisi di liquidità, avevano preso soldi dalle mafie. Il meno che si potesse fare era di convocarlo in Parlamento, segretare l’incontro, farsi dire il nome delle banche e mandare a casa i responsabili.

Vale la pena fornire qualche dato sull’incremento del fenomeno secondo il Fondo Monetario Internazionale (anni 1999-2001 in 84 paesi). Tra quelli Ocse l’Italia occupava il secondo posto con una incidenza del 27% del Pil, dopo la Grecia, a fronte di una media europea del 10-15%. Nel 2007, l’Eurispes dava valori più elevati: 549 miliardi di euro su un Pil di 1500 circa. Nel 2010 Sergio Rizzo citava una stima di Kris Network of Business Ethics che valutava l’evasione fiscale italiana circa 300 miliardi di euro. Nel 2004, per evitare di scrivere castronerie in un libro, avevo chiesto a Paolo Sylos Labini se con una montagna di economia sommersa e criminale, un qualsiasi progetto di sviluppo, a suo parere potesse decollare. Questa la sua risposta: “Caro Elio, conoscevo già i problemi cui accenni nella lettera, ma vederne l’elenco sintetico mi ha molto impressionato. Ce n’è abbastanza per essere angosciati”. Con la crisi è aumentata l’evasione e l’esportazione di capitali. Secondo uno studio della guardia di finanza, il 29% del totale dell’evasione è costituita da soldi portati illegalmente all’estero.

Quanto all’economia criminale, nel 2014 Bankitalia ed Eurispes la stimavano intorno ai 200 miliardi di Pil. Le mafie italiane si confermano prima azienda del paese, globalizzata e fiorente. Nel 2009 Piero Grasso in una relazione affermava che le confische corrispondevano al 5% del totale. A conferma, nel 2014 la Commissione Antimafia presieduta dall’onorevole Bindi dopo un lavoro di verifica, ha evidenziato la pochezza delle confische dei beni e l’inadeguatezza dell’Agenzia per l’amministrazione e la destinazione degli stessi.


Molto interessante Il Supplemento Statistico di Bankitalia (dicembre 2012) sulla ricchezza delle famiglie italiane: “Alla fine del 2011 la ricchezza netta (reale come case, terreni ecc. e finanziaria, come titoli e depositi bancari, meno i debiti, i più bassi d’Europa) delle famiglie italiane è pari a circa 8619 miliardi di euro, corrispondenti a poco più di 140 mila euro pro capite e 350 mila euro in media per famiglia. La componente finanziaria dell’intera ricchezza supera i 3500 miliardi di euro ed è la terza al mondo, superiore a quella di Francia e Germania. Quanti, di questi 3500 miliardi, sono poco puliti, imboscati nei paradisi fiscali ed evadono il fisco? A luglio 2014 il governo italiano ha comunicato che negli anni 2000-2012 lo Stato ha emesso ruoli di tasse accertate per 806 miliardi e ne ha incassato 69 (nove euro per ogni cento che avrebbe dovuto incassare). Al G8 di qualche anno fa il premier inglese Cameron detta l’agenda dichiarando guerra ai paradisi fiscali. A chi chiedeva al prof. Ukmar cosa si può fare per neutralizzarli, il grande fiscalista rispondeva: “Chiudeteli tutti”. In subordine “è necessario mettere al bando gli operatori che li usano”. Dei cinquecento miliardi sottratti ogni anno alle entrate sembra che nessuno si preoccupi.

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