mercoledì 26/07/2017
Sorrisi e furboni
di Marco Travaglio
Nella sinistra italiana, specializzata in dibattiti inutili, polemiche oziose e batracomiomachie nominalistiche pur di non andare mai alla sostanza delle cose, c’è grande fermento a proposito dei sorrisini, delle smancerie, dei baci e degli abbracci che si sono scambiati, alla festa della fu Unità di Milano, la sottosegretaria pidina Maria Elena Boschi e il fondatore di Campo progressista Giuliano Pisapia. Il quale, criticato da Mdp per quell’eccesso di trasporto verso la statista aretina, ha annullato un fondamentale incontro con Roberto Speranza di cui, se si fosse tenuto, nessuno avrebbe saputo nulla. Ovviamente Pisapia è libero di abbracciare e sorridere a chi gli pare, specie se si tratta di pezzi grossi del partito che l’ha sostenuto per 5 anni come sindaco di Milano e che l’altra sera lo aveva invitato alla sua festa. Ma, con buona pace di Aldo Cazzullo che sul Corriere irride alle critiche a Pisapia (“forse per soddisfare gli scissionisti del Pd, doveva prendere a schiaffi la Boschi”) e di Michele Serra che fa altrettanto su Repubblica (“confondere la gentilezza con la debolezza è un equivoco tipicamente infantile”). Se ai sorrisi e agli abbracci fosse seguito il discorso chiaro e netto che i suoi simpatizzanti si sarebbero attesi da un leader che si propone di riunire la sinistra dispersa e disorientata dopo quattro anni di politiche berlusconiane targate Pd, nessuno avrebbe fatto caso alla forma dei convenevoli e tutti avrebbero badato alla sostanza delle sue parole.
Invece, per l’ennesima volta, quelle parole di rigorosa discontinuità dal renzismo Pisapia non le ha pronunciate, limitandosi ai soliti pensierini ambigui e fumosi che fanno pensare al peggio. E cioè delle due, l’una: o Pisapia non ha la statura del leader di sinistra che vorrebbe essere, oppure non ha alcuna intenzione di diventarlo. E, nel secondo caso, chi sperava che intorno a lui si coagulasse quel vasto movimento di opinione che in America si è riunito attorno a Sanders, in Francia attorno a Mélenchon e in Gran Bretagna attorno a Corbyn, dovrà rassegnarsi all’idea di un Pisapia stampella di Renzi e cercarsi un altro approdo. La Boschi non è una passante: è uno dei simboli viventi della catastrofe renziana; la donna che ha prestato il suo nome a una controriforma costituzionale devastante e poi devastata dai due terzi degli elettori; la donna che col caso Etruria incarna il neofamilismo amorale, le doppie verità 2.0 e i nuovi conflitti d’interessi fra politica e affari subentrati a quelli berlusconiani. E Pisapia che fa? Se la ritrova davanti, o accanto, in un dibattito dinanzi agli elettori di centrosinistra.
E non dice un monosillabo sui chiarimenti che Lady Etruria deve ai risparmiatori sugl’interventi indebiti su vari banchieri per salvare – fra i tanti istituti decotti – proprio quello amministrato così bene dal padre, sulle bugie in Parlamento per scavallare la mozione di sfiducia, sulla querela annunciate e mai presentate contro De Bortoli, sulle non-risposte alle domande del Fatto? La Boschi, come sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, è la testimonial di quel governo Genticloni che ha appena truffato 3 milioni di lavoratori che avevano firmato i referendum della Cgil contro i voucher, ritirati e poi ripristinati per impedire agli italiani di votare: possibile che Pisapia non abbia trovato nulla da obiettare? La Boschi è uno dei volti più noti di quel Giglio magico che s’è pappato l’Italia per tre anni, distribuendo centinaia di poltrone di potere ad amici e amici degli amici, con i risultati sotto gli occhi di tutti; quel Giglio Magico che non ha ancora restituito i finanziamenti avuti da Salvatore Buzzi, appena condannato a 20 anni per aver corrotto alcuni pezzi grossi del Pd; quel Giglio Magico che copre i conflitti d’interessi e le indagini sul sindaco di Milano Beppe Sala, successore e beniamino di Pisapia: possibile che l’aspirante leader della sinistra non trovi le parole per porre una questione morale che tutti vedono? Non un sospiro sui favoritismi di Etruria, sul verminaio di Expo e sulle pesanti condanne per l’ex Mafia Capitale (frettolosamente archiviate dai partiti dietro il falso dilemma mafia sì-mafia no)?
Questi sono i temi che i suoi potenziali elettori avrebbero voluto sentir affrontare con impietosa franchezza da Pisapia, a prescindere dagli abbracci e dei sorrisi alla Boschi. Siccome si è guardato bene dall’affrontarli, e non ha ancora chiarito se il suo Campo progressista è alternativo o complementare al PdR (il Partito di Renzi, che ormai è tutt’altra cosa dal Pd, ammesso e non concesso che il Pd sia mai stato qualcosa), piuttosto si candidi a vicesegretario del Pd: carica oggi occupata da tal Martina, cioè vacante. Perchè non è affatto vero quel che scrive Serra: “il fatto che Pisapia sia stato… costretto a chiarire e a spiegare è mortificante, non certo per lui, ma per un luogo politico – la sinistra – che sembra diventato una somma di insicurezze e (dunque) di debolezze”. In politica i chiarimenti e le spiegazioni non sono mai troppi. Soprattutto se i leader continuano a non chiarire e a non spiegare i propri pensieri, ma a mascherarli furbescamente dietro le fumisterie politichesi per tenersi le mani libere. Non sappiamo se Corbyn abbraccerebbe Blair: ma, anche se lo facesse, gli direbbe tutto ciò che pensa di lui e delle sue politiche, e nessuno s’insospettirebbe. Non sappiamo se Mélenchon farebbe lo svenevole con Macron (l’idolo dei renzusconiani che, nel breve volgere di un mesetto, s’è già sgonfiato in Francia e pure in Italia): ma, anche se lo facesse, parlerebbe così chiaro nessuno dubiterebbe della loro incompatibilità. Se a Pisapia basta un sorriso alla Boschi per far pensar male la gente di sinistra, non è colpa della gente di sinistra. É colpa sua.
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