venerdì 9 giugno 2017

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Una grande Daniela Ranieri ci scannerizza il Bomba Ecologico!


venerdì 09/06/2017
Renzi mimetico: ora è ambientalista

di Daniela Ranieri

È difficile non scrivere una satira (Giovenale: “Difficile est satiranon scribere”) sulla capacità mimetica di Matteo Renzi. È come Alberto Sordi, a cui bastava uscire di casa per assorbire modi di dire e caratteri di Roma. Lui orecchia, annusa ciò che funziona, e poi lo ripropone rimasticato. È una spugna. Un avatar. Un mimo.
Il Renzi che appare, il Renzi fenomeno, sfarfalla sotto i nostri occhi. Egli è Legione. Blairiano, poi obamiano, poi marchionniano, se annusa una sinistra che vince si ricicla sbandieratore rosso; se i sondaggi danno avanti Grillo lui diventa populista (“Vuoi meno politici? Basta un Sì”); se vince Trump, fa l’anti-sistema (“Penso che Trump abbia interpretato il cambiamento in maniera più radicale rispetto alla Clinton”). Adesso è macroniano.
Lo ricordiamo tra i giovani dem vincenti, festeggiare non si sa cosa alla festa dell’Unità di Bologna nel 2014: (quasi) tutti belli, camicia bianca sciancrata in vita, taglio di capelli da generazione Erasmus assurta a capo delle fonderie di idee della sinistra europea. Per niente schizzinosi coi poteri forti, liberisti risolti, sentimentali col popolo, concreti coi padroni, spicci coi sindacati. Si narra che quel giorno al Ristorante Bertoldo Renzi indossasse una camicia celeste, poi rimpiazzata con mossa camaleontica con un capo in popeline bianco per la photo opportunity (se avesse tenuto la giacca avrebbe potuto indossare una pettorina, come Totò quando si finge cameriere). “È il patto del tortellino”, consegnò alle agenzie, un “patto generazionale” per “cambiare verso all’Europa”.
Come nelle barzellette, c’era un francese, un tedesco, uno spagnolo, un olandese e un italiano. Masticavano prosciutto di Parma lanciando parole di sinistra: “Uguaglianza! Compagni! Giustizia sociale!”. Valls, dimessosi da premier, sconfitto alle primarie, ha chiesto asilo a Macron, che l’ha messo alla porta; l’olandese Samsom, che gustava tortellini e gridava “I want my Europe back!”, è uscito a pezzi dalle amministrative del 2016; Sanchez, “il Cary Grantlatino” o, a scelta, “il Matteo Renzi di Spagna” (Le Monde), sfiduciato dal partito si dimise da segretario e da deputato; il tedesco Post è stato tagliato dalla foto come Trotsky. E poi c’era l’italiano. Cinto dall’aura di commedia che si porta sempre dietro. Assediato da groupie in delirio, cameratesco col ristoratore, in una selva di selfie.
Poi vince Macron. Renzi gli copia lo slogan. Si lucida le scarpe. Si pettina. Fosse nelle sue facoltà imiterebbe la parlata da allievo dell’Ena, ma si sente che è di Pontassieve.
Tra i temi della start-up di En marche! c’è la lotta al cambiamento climatico. Renzi ritira fuori il clima dallo scatolone dei trucchi, dove era finito dopo la corsa a sindaco di Firenze e le primarie contro Bersani. Macron invita gli scienziati americani in Francia dopo la scelta di Trump di abbandonare i patti di Parigi; Renzi twitta: “Oggi si stringe il cuore di chi ama il futuro #clima”. Organizza fiaccolate su Instagram. Scrive temini: “Siglare all’Onu l’accordo sul clima è stata una delle emozioni più grandi della mia esperienza di Governo. Quando ho apposto la mia firma… ho provato un brivido”. E poi, nel più totale nonsense: “Noi crediamo al futuro, costi quel che costi”.

Il neoliberista sfrenato che invitò gli italiani a non andare a votare al referendum sulle trivelle parla come un attivista di Greenpeace. Il capomastro dello Sblocca Italia, il decreto suo e di Lupi che consente di costruire ovunque, anche sulle coste, stante il silenzio-assenso delle Soprintendenze sempre più esautorate e impoverite, pare un discepolo di Al Gore.

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