martedì 1 novembre 2016

Articolo


Se avete voglia e pazienza, ne serve tanta, leggetelo!

Condanne, scandali e promozioni

di Ferruccio Sansa

Promossi. Nonostante nei loro curriculum ci fossero condanne, indagini o scandali mai chiariti. O talvolta, viene il dubbio, proprio per questo. È una strana forma di meritocrazia all’italiana che produce un duplice danno: portare ai vertici dello Stato persone che forse non lo meritavano. E lasciare in panchina, punire, chi aveva titoli maggiori per andare avanti.

“In Italia le responsabilità penali vengono ignorate. Ma ci sono anche le responsabilità morali. E pure quelle vengono dimenticate”, sussurra un funzionario del ministero dell’Ambiente.
La scusa grottesca di De Bernardinis
“I giudici hanno dichiarato che il mio livello di colpa è certamente lieve”. Parola di Bernardo De Bernardinis, presidente dell’Ispra. L’affermazione è in un video che un anno fa comparve sul sito dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale. Una sorta di “autoassoluzione” per la tragica vicenda della Commissione Grandi Rischi che ha portato a una condanna definitiva a due anni per De Bernardinis. Il video, registrato lo scorso 22 dicembre, è un messaggio ai dipendenti dell’Ispra. Ma viene dal responsabile di un Istituto pubblico. Su un sito istituzionale. Così a vederlo non sono stati soltanto i dipendenti, ma molti abruzzesi che ancora piangono i 309 morti del terremoto del 6 aprile 2009. Gente cui non va giù che l’unico condannato per il mancato allarme occupi ancora posti di responsabilità nello Stato. De Bernardinis all’epoca era vice-presidente delle Protezione Civile. Il braccio destro di Guido Bertolaso. Nel 2010 – già sotto inchiesta – diviene presidente dell’Ispra (governo Berlusconi). Poi, nel 2014 (nel 2012 era intervenuta condanna in primo grado a sei anni) arriva la conferma del governo di Enrico Letta.

Nulla cambia dopo la Cassazione: ad agosto De Bernardinis è entrato nel Comitato operativo del dopo-terremoto del centro Italia.

La versione di De Bernardinis è nel video: “Io sono un uomo a testa alta. Un po’ Chevrolet nelle mie vicende sentimentali, due divorzi… ma per la mia vita personale non potete chiedermi di abbassare la testa”.

Il ministro promuove l’uomo della “porcata”

“Cerchiamo di fare una porcata… almeno che sia leggibile”. Giuseppe Lo Presti, dirigente del ministero dell’Ambiente, è noto alle cronache per quella frase rimasta nelle intercettazioni dell’inchiesta savonese sulla centrale a carbone di Vado Ligure. Quella che, secondo i pm, avrebbe provocato la morte di 440 persone. Le parole di Lo Presti - mai indagato - vennero registrate mentre veniva predisposto il documento del ministero sulle prescrizioni da imporre alla società che gestiva l’impianto, la Tirreno Power. Lo stesso Lo Presti che a due colleghi diceva ancora: “Siamo dei farisei”. E i carabinieri del Noe annotano che i tre “ridono”. Ancora Lo Presti: “Mi sputerei in faccia da solo”. Una collega si offre di aiutarlo: “Se volete la scrivo io”. E Lo Presti: “No, c’hai già le mani sporche di sangue”. Pochi giorni fa il ministro Gian Luca Galletti, intervistato dal cronista, rispose che non aveva potuto avviare nessuna indagine disciplinare nei confronti di Lo Presti. Tacque, però, che lo aveva appena promosso (il 30 settembre): direttore generale per le valutazioni e le autorizzazioni ambientali, una delle poltrone più importanti dell’alta burocrazia italiana.

Indagata e prescritta: l’Eni la dà un nuovo grado

Marzo 2016. Cinque funzionari dell’Eni finiscono ai domiciliari perché secondo i pm di Potenza nascondevano i veri dati di inquinamento e truccavano i codici dei rifiuti per smaltirli più liberamente. Roberta Angelini viene intercettata mentre scherza sui superamenti delle soglie: “Oltre a fare superamenti che fate?” chiede a un collega che risponde ridendo: “Robe’ ci stiamo preparando per i fuochi di artificio”. Altro colloquio: è il 30 dicembre 2014 e l’Organizzazione Lucana Ambientalista organizza un presidio. Angelini sbotta: “Hanno indetto persino una riunione per stasera.. ‘sti stronzi figli di buona donna guarda …se andiamo là ci fanno neri”.

Quello che molti hanno dimenticato - soprattutto all’Eni, che pure è controllata dallo Stato - è che Roberta Angelini era già finita ai domiciliari dodici anni prima per un’altra indagine, sempre della Procura di Potenza, sempre per il centro oli di Viggiano. Un’inchiesta in mano al pm Henry John Woodcock che la accusava di avere messo a disposizione del comandante dei Vigili del Fuoco di Potenza una vacanza (pagata poi da una società che lavorava per Eni) da 2 mila euro in un lussuoso albergo di Ischia e poi una notte in hotel a Ravenna. Woodcock era convinto che Eni volesse ammorbidire il comandante dei Vigili del fuoco per evitare una variante al progetto del centro oli che avrebbe allungato i tempi di costruzione.

C’è un’intercettazione del 13 agosto del 2003 in cui Angelini chiama il comandante: “Abbiamo trovato una possibilità per quello che mi aveva detto..(…) per Ischia (…) Le può andar bene? Cristallo Palace Hotel Terme, con Orizzonti come tour operator? (…) località Casamicciola (…) un pacchetto da 4 notti”. Il comandante dei vigili risponde ridendo: “Ah, ah perfetto”. Nel 2011 c’è stata la sentenza di non luogo a procedere per prescrizione. E tutti hanno fatto carriera. Il comandante e anche Roberta Angelini, nominata nel luglio 2012 “responsabile sicurezza, salute, ambiente e permitting” proprio del centro oli di Viggiano. Ad aprile Roberta Angelini è stata di nuovo indagata con quattro dipendenti Eni. Finora non è stata condannata. Potrebbe ottenere anche stavolta la prescrizione o l’assoluzione. Il punto però non è lei, ma le scelte dell’Eni.

Polizia e carabinieri: dal G8 ai concorsi

Il G8 di Genova. Forse la pagina più nera della nostra Repubblica. Durante le inchieste molti protagonisti fanno carriere strepitose, fino ad arrivare ai vertici delle forze dell’ordine. Tanto che, quando nel luglio 2012 arrivò la condanna definitiva, si rischiò un vuoto di comando nella polizia. Già perché all’epoca Franco Gratteri era il capo della Direzione centrale anticrimine; Gilberto Caldarozzi, capo del Servizio centrale operativo; Giovanni Luperi invece capo del dipartimento analisi dell’Aisi. Infine Filippo Ferri, fratello del sottosegretario alla Giustizia, guidava la squadra mobile di Firenze. Tutti andati avanti nonostante le inchieste per il G8. Poi ecco che l’interdizione dai pubblici uffici obbligò il ministero a espellerli. Ma non sono rimasti a spasso: Caldarozzi aveva lavorato per le banche prima di diventare consulente di Finmeccanica, dove il numero uno adesso è Gianni De Gennaro (capo della Polizia all’epoca del G8). Mentre Ferri va a occuparsi di sicurezza al Milan di Silvio Berlusconi. Appena dopo la condanna gli stessi Gratteri e Caldarozzi ottennero addirittura una scorta. Anche la sanzione disciplinare nei confronti di Massimo Nucera - condannato a oltre tre anni - venne ridotta a un trentesimo. Da un mese di sospensione dal servizio si è passati alla pena pecuniaria equivalente a un giorno di paga: 47,57 euro. Fu l’allora capo della polizia, Alessandro Pansa a firmare.

Tanti poliziotti perbene ancora oggi ricordano poi la storia di un concorso ormai famoso: la selezione, avvenuta nel 2013, per 54 posti al corso di formazione dirigenziale (1.600 candidati). Ben 26 funzionari selezionati compirono prodigiosi salti in graduatoria: fino a 800 posti. Ma a stupire furono soprattutto i nomi e i curricula: c’era, per dire, quel funzionario condannato per aver dato il porto d’armi ad Andrea Calderini che a Milano, preso dalla follia, aveva ucciso vicini e passanti. Poi un vicequestore di punta rinviato a giudizio: il 5 maggio 2010, dopo Roma-Inter, Stefano Gugliotta fu picchiato da un gruppo di poliziotti che lo denunciarono anche per violenza e resistenza a pubblico ufficiale. Per le violenze e la calunnia ci sono già state nove condanne in primo grado (i condannati sono in servizio). Il vicequestore è invece a giudizio per il falso verbale che il giovane picchiato sarebbe stato costretto a firmare. Ammessi al concorso pure due poliziotti che hanno maneggiato le molotov taroccate al G8.

C’è poi il caso Shalabayeva. All’epoca dei fatti Maurizio Improta era capo dell’Ufficio Stranieri che si occupò dell’espulsione. Negli anni successivi ha ottenuto due promozioni, diventando infine questore di Rimini. Intanto nel 2015 è stato indagato per sequestro di persona per il caso della moglie del dissidente kazako.

Polemiche che non risparmiano i carabinieri. Come ha scritto il Fatto, ad agosto viene promosso maresciallo capo Roberto Mandolini, indagato per falsa testimonianza nel caso Cucchi. “Una promozione automatica, per anzianità”, spiega l’Arma.

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