lunedì 23 maggio 2016

Ogni volta


Ogni volta che salgo su un mezzo pubblico a La Spezia, sono assalito da sensazioni ondivaghe, spiazzanti, variegate. 
Se penso che, architettonicamente, il conducente, prendiamo del "3", potrebbe mettere un fermo al volante e farsi una canasta con un passeggero da Mazzetta a Piazza Chiodo, mi viene l'orticaria. 
Si, i nostri avi infatti tracciarono una linea retta attraversante quella zona cittadina: dritta, perfetta, sontuosa.
Ed invece quando arrivi nel cantiere Verdi della piazza che fu, ecco le chicane, la secca "zeta" da fare per sottostare al pensiero di archistar a cui il precedente ordine viario non ha mai importato un fico secco. 
Sterzo e contro-sterzo per far inchinare l'utilità della semplice perfezione architettonica al nuovo che avanza, allo spazio da destinare a dei portali in ferro colorati. 
Come quei babbei che portandosi in casa creazioni di designer perennemente in analisi, pranzano in perenne equilibrio instabile su seggiole scomodissime, appoggiando piatti e posate su costosissimi tavoli scoscesi, belli a vedersi (forse) ma di un'urticante scomodità a volte sfociante in un'inappetenza preoccupante al punto da indurre il malcapitato a gustarsi l'amatriciana seduto sulla tazza del bagno, felice ugualmente di aver un arredamento alla moda, essenziale, a detta sua, per vivere dignitosamente in questo mondo.
Mah!    


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