A sostegno del “Re sòla” torna l’intervista all’imparziale Renzi
DI DANIELA RANIERI
Allo stadio terminale in cui è ridotta in Francia la presidenza Macron, chi possiamo intervistare per analizzare in modo lucido e imparziale i motivi del fallimento del governo Barnier costruito a tavolino dallo stesso Macron e magari, perché no, dargli anche qualche consiglio per risollevarsi e sbaragliare l’opposizione di destra e sinistra unite contro di lui? Ma è naturale: Renzi!
Su Repubblica, ieri, la consueta pagina di intervista al politico più perdente del globo era tutta un elogio del Re Sòla: “La storia un giorno sarà gentile con Emmanuel Macron che per due volte è riuscito a impedire l’affermazione di Marine Le Pen”. Come no: infatti, dopo aver perso le Europee prendendo la metà dei voti della Le Pen arrivata prima, Macron ha sciolto l’Assemblea nazionale e ha costretto i francesi ad andare a elezioni, dove il Rassemblement National di Le Pen è arrivato primo al primo turno; al ballottaggio, nonostante gli appelli disperati di Macron allo “spirito repubblicano contro il fascismo” e contro la “sinistra antisemita”, ha vinto il Nuovo Fronte popolare, l’unione delle sinistre capeggiate da La France Insoumise di Mélenchon, mentre il genio dell’Eliseo è riuscito nella formidabile impresa di arrivare secondo e perdere 86 seggi, e Mélenchon e Le Pen ne hanno guadagnati rispettivamente 49 e 53. Se non è una doppia vittoria questa. Adesso l’intervista di Renzi, il colpo di grazia: “Voi vi sentite ancora?”, gli domanda Concetto Vecchio, e lui: “Non come prima”, il che spiega forse perché Macron è arrivato solo secondo e non quindicesimo, ma interpellato circa la popolarità a picco del presidente odiato dal 60% dei francesi, Renzi insegna: “La popolarità di Macron è stata bassa anche nella prima legislatura”, a riprova che ormai la democrazia è spartizione del potere come cassaforte del Capitale, non certo potere del popolo come la mera etimologia potrebbe far pensare e la Costituzione italiana indurrebbe scioccamente a credere. Anzi, meno voti si hanno meglio è: “Era al 9% nel 2019, appena due anni dopo la prima vittoria. In Italia l’avrebbero cacciato subito, il sistema francese invece gli concede cinque anni garantiti. Lo sfrutti per cercare di recuperare consensi”, infatti Macron si avvicina asintoticamente al 2%, che sarebbe la perfezione. Oppenheimer ha inventato la bomba atomica, Renzi ha inventato Italia viva, posto che i superstiti di Hiroshima erano forse di più dei suoi elettori, il che gli dà agio di sermoneggiare: a Parigi “avrebbero bisogno di un’expertise italiana”, così davvero i francesi rifanno la lama alla ghigliottina. Infatti Macron ha nominato primo ministro Michel Barnier, esponente di Les Républicains, il partito di destra arrivato ultimo alle elezioni col 6,5%, ed è andata benissimo.
Poi è tutto renzismo, cioè calembour, frittura, paranza semantica: “Paradosso: si vince al centro, non vince il centro”, il che vuol dire che si è accorto che non paga fingere di essere “il Centro” o “Terzo Polo”, come si faceva chiamare tempo fa essendo sesto, ma converrebbe occupare abusivamente un posto di destra o di sinistra (è uguale) e prendere i voti dei moderati, operazione che tanta fortuna gli ha portato. Ribaltamento sublime della realtà: “È ancora macroniano?”. “Sono orgoglioso che la nostra esperienza del 2014-2016 abbia ispirato Macron”, di cui lui imitava pure i pranzi al sacco in maniche di camicia bianca, “e che il suo riformismo abbia frenato le destre. Questo resterà negli annali”, o almeno nei manuali su come si rovina un Paese. Vecchio: “Gli consiglia di lasciare?”. Ma figuriamoci: “No, perché è proprio quello che vuole Le Pen, che così si prenderebbe la Francia”, che evidentemente preferisce la fascista al ragazzo-spazzola dei Mercati. “Resti al suo posto fino al 2027. Spero che il mio amico Francois Bayrou diventi premier”, così sappiamo anche il nome del prossimo premier francese che cadrà miseramente nella cenere.
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