Se Meloni volesse diventare europea
DI MICHELE SERRA
Meloni si trova di fronte il muro di gomma di un’Europa che diffida dei sovranisti, e per giunta ha ampiamente i numeri per farne a meno. Essendo il nazionalismo il nemico numero uno dell’Unione Europea, e viceversa, credo che Meloni sia perfettamente in grado di cogliere che non si tratta di un pregiudizio, e tantomeno della voglia di “delegittimare” un voto che, in ogni modo, vede l’estrema destra rimanere una robusta minoranza. Si tratterebbe, banalmente e nello stesso tempo brutalmente, di fare per davvero i conti con la propria storia: che è quella del neofascismo, strutturalmente nemico dell’unità europea e della democrazia.
Se sono abbastanza ridicole le ingiunzioni a dichiararsi antifascista (non lo è, non lo sarà mai), sono invece logiche, e perfino disinteressate, le richieste di entrare nel gioco europeo con la chiarezza necessaria: dirsi parte della destra “conservatrice”, e prendere le distanze dal profondo nero nel quale sguazza il Salvini, non è tattica, è strategia, e impone di pagare un prezzo vero e doloroso, perlomeno una seconda Fiuggi, ingentilita dai comfort del governo ma resa ben più ardua dalla presenza del nugolo di fascistoni di ogni età che le fa corona, nonché dalla sua stessa storia personale. Se non a noi, che non siamo degni di confidenza: lo dica ai suoi, che il fascismo in Europa è pura morchia. E chieda una consulenza a Gianfranco Fini, storicamente l’unico neofascista che abbia fatto seriamente i conti con quella sanguinaria buffonata. Metta in conto di perdere un bel po’ di voti (i fascisti, in Italia, sono tanti) ma di guadagnare, infine, una presentabilità non di facciata, ma vera. Se non lo farà mai, non si dica che “non può farlo”. Si dica che non vuole farlo.
E allora, però, la smetta di lagnarsi dell’Europa, che altro non può se non difendere i suoi principi.
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