Prima il testo della lettera di Alain...
Sul treno per Foggia con i giovani “lanzichenecchi”
di Alain Elkann
Sul treno per Foggia con i giovani “lanzichenecchi”
di Alain Elkann
Non pensavo che si potesse ancora adoperare la parola “lanzichenecchi” eppure mi sbagliavo. Qualche giorno fa, dovendo andare da Roma a Foggia, sono salito su una carrozza di prima classe di un treno Italo. Il mio posto assegnato era accanto al finestrino e vicino a me sedeva un ragazzo che avrà avuto 16 o 17 anni.
T-shirt bianca con una scritta colorata, pantaloncini corti neri, scarpe da ginnastica di marca Nike, capelli biondi tagliati corti, uno zainetto verde. E l’iPhone con cuffia per ascoltare musica. Intorno a noi, nelle file dietro e in quelle davanti, sedevano altri ragazzi della stessa età, vestiti più o meno allo stesso modo: tutti con un iPhone in mano. Alcuni avevano in testa il classico cappello di tela con visiera da giocatore di baseball di colori diversi, prevalentemente neri, e avevano tutti o le braccia o le gambe o il collo con tatuaggi piuttosto grandi. Nessuno portava l’orologio.
Io indossavo, malgrado il caldo, un vestito molto stazzonato di lino blu e una camicia leggera. Avevo una cartella di cuoio marrone dalla quale ho estratto i giornali: il Financial Times del weekend, New York Times e Robinson, il supplemento culturale di Repubblica. Stavo anche finendo di leggere il secondo volume della Recherche du temps perdu di Proust e in particolare il capitolo “Sodoma e Gomorra”. Ho estratto anche un quaderno su cui scrivo il diario con la mia penna stilografica.
Mentre facevo quello, i ragazzi parlavano ad alta voce come fossero i padroni del vagone, assolutamente incuranti di chi stava attorno. Parlavano di calcio, di giocatori, di partite, di squadre, usando parolacce e un linguaggio privo di inibizioni.
Intanto il treno, era arrivato a Caserta. Non sapevo che per andare da Roma a Foggia si dovesse passare da Caserta e poi da Benevento. Pensavo di aver sbagliato treno, ma invece è così. Non ho mai rivolto la parola al mio vicino che o taceva ascoltando musica o si intrometteva con il medesimo linguaggio nella conversazione degli altri ragazzi.
A un certo punto, poco dopo Benevento, mentre erano sempre seduti o quasi sdraiati ai loro posti, ammassando nei vari cestini per la carta straccia lattine di Coca Cola o tè freddo, uno di loro ha detto: «Non è che dobbiamo stare soli di sera: andiamo a cercare ragazze nei night».
Un altro ragazzo più piccolo di statura e con il viso leggermente coperto di acne giovanile ha detto: «Macché night! Credetemi, ho esperienza. Bisogna beccare le ragazze in spiaggia e poi la sera portarle fuori e provarci. La spiaggia è il posto più figo e sicuro per beccare».
Quella conversazione sulle donne da trovare era andata avanti mentre io avevo finito di scrivere sul mio quaderno ed ero immerso nella lettura di Proust. Loro erano totalmente indifferenti a me, alla mia persona, come se fossi un’entità trasparente, un altro mondo.
Io mi sono domandato se era il caso di iniziare a parlare col mio vicino, ma non l’ho fatto. Lui era la maggioranza, uno nessuno centomila, io ero inesistente: qualcuno che usava carta e penna, che leggeva giornali in inglese e poi un libro in francese con la giacca e i pantaloni lunghi.
Per loro chi era costui?
Un signore con i capelli bianchi, una sorta di marziano che veniva da un altro mondo e che non li interessava. Pensavano ai fatti loro, parlavano forte, dicevano parolacce, si muovevano in continuazione, ma nessuno degli altri passeggeri diceva nulla.
Avevano paura di quei ragazzi tatuati che venivano dal nord, lo si capiva dall’accento, o erano abituati a quel genere di comportamento?
Arrivando a Foggia, mi sono alzato, ho preso la mia cartella. Nessuno mi ha salutato, forse perché non mi vedevano e io non li ho salutati perché mi avevano dato fastidio quei giovani “lanzichenecchi” senza nome.
... poi il commento del Direttore...
Alain e i giovani d’oggi
di Marco Travaglio
Non ci sono parole per denunciare il vile agguato subìto da Alain Elkann sul treno Italo Roma-Foggia. È lui stesso a narrarne le drammatiche sequenze in un “breve racconto d’estate” che, visto l’autore (il padre del padrone) e soprattutto la prosa (notevoli le virgole tra soggetti e verbi), Repubblica ha collocato in Cultura sotto lo straziante titolo “Sul treno per Foggia con i giovani ‘lanzichenecchi’”. L’orda barbarica che ha proditoriamente funestato il suo viaggio in prima classe era composta dal vicino, “un ragazzo di 16-17 anni, T-shirt bianca con scritta colorata, pantaloncini corti, zainetto verde e iPhone con cuffia per ascoltare musica”; e, nelle altre file, da “altri ragazzi della stessa età, vestiti più o meno allo stesso modo… Alcuni avevano in testa (anziché su un ginocchio o su un gomito, ndr) il classico cappello di tela con visiera da giocatore di baseball di colori diversi” e, quel che è peggio, “avevano tutti o le braccia o le gambe o il collo con tatuaggi piuttosto grandi”. Un dress code premeditato con cura dai manigoldi per molestare l’Elkann, che indossava, “malgrado il caldo, un vestito stazzonato di lino blu e una camicia leggera”. E portava una curiosa “cartella di cuoio marrone” (il cuoio di solito è viola a pois fucsia) “dalla quale ho estratto il Financial Times, New York Times e Robinson, l’inserto culturale di Repubblica” (La Stampa no: ci scrive da trent’anni, ma non la legge). Ma pure “il secondo volume della Recherche du temps perdu di Proust”, che “stavo finendo di leggere in francese” (anziché nella comoda traduzione in foggiano). Ma le estrazioni non sono finite: “Ho estratto anche un quaderno su cui scrivo il diario con la mia penna stilografica” (non con quella di un altro, o con un più pratico stiletto acuminato per tavolette cerate sumere).
Che faceva intanto l’orda lanzichenecca al cospetto di cotanto intellettuale in lino blu? Si raccoglieva in religioso silenzio sbirciando di straforo il Financial Times o la Recherche? Magari: “Erano totalmente indifferenti alla mia persona, come se fossi un’entità trasparente” (strano, un tipo così alla mano). E “parlavano ad alta voce”: non dei listini di Borsa o de l’amour de Swann, ma “di calcio” e “ragazze” da “cercare in spiaggia” o “nei night” (ma noi giureremmo che abbian detto “tabarin” e “café chantant”). Dicevano financo “parolacce” e “nessun passeggero diceva nulla”, forse per “paura di quei ragazzi tatuati”, ergo capaci di tutto. Lui, riavutosi dalla scoperta scioccante che “per andare a Foggia bisogna passare per Caserta e Benevento”, anziché da Chamonix, è sceso a Foggia. E “nessuno mi ha salutato”. Ma lui, furbo, “non li ho salutati perché mi avevano dato fastidio quei giovani ‘lanzichenecchi’ senza nome”. Tiè: così imparano.
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