Lo Stato che resiste
DI MICHELE SERRA
Si dice spesso che a salvarci, quando il livello dei governanti non è rassicurante, sia il Deep State, lo Stato profondo che lavora e assicura continuità a dispetto di chiunque occupi i Ministeri. I ministri passano, i governi pure, gli alti funzionari pubblici mandano avanti la baracca e garantiscono che non affondi. Vale per la Farnesina, per i ministeri economici, per l’ordine pubblico, vale per il funzionamento della macchina Italia a tutti i livelli, e ancora più per la salvaguardia dell’idea di Stato, logorata nei decenni dalla demagogia e dal populismo che consentono notevoli bottini elettorali.
Proprio al Deep State ho pensato leggendo le riflessioni del direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ruffini, in un incontro pubblico. Tra le altre: «Se vogliamo garantire i diritti fondamentali della persona indicati e tutelati nella nostra Costituzione — come la salute dei cittadini, l’istruzione dei nostri figli, la sicurezza di tutti — servono risorse, e noi siamo chiamati a raccoglierle a vantaggio di tutti. Anche di chi si sottrae al loro pagamento».
Parole che suonano come risposta indiretta, anzi diretta, alle recenti dichiarazioni del Salvini (il cui ministero, tra l’altro, con il Fisco non c’entra un fischio) e della premier Meloni sulle tasse come «pizzo di Stato», inquadrabili nel vecchio adagio “non si devono mettere le mani nelle tasche degli italiani” così caro alle destre di ultima generazione.
Ignoro come e quando Ruffini possa essere sostituito o destituito dai nuovi padroni politici del Paese. Posso solo dire che mi conforta non poco saperlo là dov’è, e spero che ci rimanga a lungo, compatibilmente con il suo grado di sopportazione dei nuovi governanti.
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