Una pace che dichiara guerra
DI MICHELE SERRA
Chiamare un condono “pace fiscale”, come ha fatto il Salvini facendo eco ai suoi alleati, è un eufemismo che non basterà a rabbonire chi le tasse le ha sempre pagate. Inutile girarci attorno, passaattraverso la questione fiscale il più evidente discrimine (economico ed etico) tra gli italiani. Nessuna sperequazione è più ingiusta, nessuna simulazione è più odiosa di quella dei finti poveri che fanno i conti in nero. E quelli come il Salvini, che di Italia e italiani hanno la bocca sempre piena come i criceti con i semi di zucca, non hanno idea di quanti milioni di italiani riescono a offendere ogni volta che parlano di condono fiscale.
Che il Fisco sia farraginoso e in qualche caso oppressivo è una questione che ogni partita Iva (eccomi) conosce bene. Ma che a fare la differenza, al netto di ogni assurdità burocratica e di ogni ingiunzione senza fondamento, sia la volontà di pagare le tasse oppure di evaderle, è una verità palmare. Un solco politico profondo, anzi profondissimo divide chi considera un dovere civile pagare le tasse (ebbe ragione Padoa Schioppa a lodarle, non per caso fu spernacchiato dai giornali di destra) e chi le considera “un pizzo di Stato”, e ricorre spesso alla sudicia frase “mettere le mani nelle tasche degli italiani” per definire il sacrosanto, trasparente rapporto dare-avere che lega cittadino e Stato.
Se il Fisco funziona male, lo si riformi e lo si metta nelle condizioni di fare di conto con più efficienza. E se ci sono casi acclarati di accanimento ingiustificato, li si risolva. Ma “pace fiscale” significa, nei fatti, dichiarare guerra a quegli italiani che hanno chiaro che cosa significhi cittadinanza.
Premiando coloro che non lo hanno chiaro affatto.
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