Salvini, Renzi e cielle: chi è povero è peccatore
di Daniela Ranieri
“È meglio un povero che un bugiardo”, sta scritto nella Bibbia. Avrebbero dovuto saperlo, e magari ricordarlo all’ospite, gli organizzatori del Meeting cristiano di Comunione e Liberazione, dove Salvini ha biasimato il Reddito di cittadinanza: “L’unico provvedimento che non rivoterei, crea solo un deserto economico e morale perché diseduca le persone alla fatica e alla sofferenza”. Accanto a lui c’era Letta – tocca ricordare che il Pd votò contro il Rdc, un provvedimento che c’è in tutta Europa – oltre a Lupi, Tajani, Rosato e Meloni in videocollegamento. La pochade della Restaurazione è tale che il Corriere ne fa un quadretto spiritosissimo: “Solo Conte ha difeso l’importanza dell’assegno per i più poveri, mentre per il resto si è levato un coro di critiche, condivise dalla platea ciellina… Conte ha cercato di manifestare il suo no con ampie bracciate di dissenso, ma non ha trovato alleati nei due rappresentanti di centrosinistra presenti” (al Corriere credono che Italia viva sia centrosinistra).
Quel povero illuso di Conte non s’è accorto che il Paese investito dai denari del Piano nazionale di ripresa e resilienza va spedito verso la crescita e chi resta indietro è una zavorra di cui liberarsi. Avrete notato che ultimamente i cultori del neo-liberismo (tale è Salvini, che ha provato per anni a vendersi come scardinatore delle élite per conto dei popoli e talpa che scava sotto il “sistema”, per rivelarsi vieppiù il ragazzo di bottega dell’establishment e dei banchieri) non si accontentano di fare in modo che i ricchi stiano sempre meglio. Onesta era in ciò la flat tax: una scostumata dichiarazione d’amore per i padroncini, su su fino ai finanzieri, a scapito di chi guadagna poco. Questi difensori della rendita e del capitale ormai millantano un fondamento etico per le loro posizioni.
Che uno come Salvini, capo di un partito che si è intascato 49 milioni di denari pubblici, parli di “deserto morale” è auto-parodico. Ma è suggestivo che tiri in ballo la “sofferenza”, l’insufficiente sofferenza a cui sarebbero sottoposti 5 milioni di poveri assoluti (più 1 dovuto alla pandemia), esattamente come quel Renzi che – spiaggiato su una poltrona, promuovendo il suo libro – ha detto: “Voglio riaffermare l’idea che la gente deve soffrire, rischiare, giocarsela. I nostri nonni hanno fatto l’Italia sudando e spaccandosi la schiena, non prendendo soldi dallo Stato”.
A chi parlano costoro? Cosa c’è dietro questo disprezzo per i poveri mascherato da elogio del duro lavoro da parte di due mestieranti della politica le cui biografie di bambagia sono sovrapponibili? C’è tutto il peggio delle moderne società inegualitarie: fatalismo, stigma sociale, mitologia del rischio e del farsi da sé, lode del lavoro usurante e sottopagato. Non si accontentano di indicare nei deboli il freno alla società dei benestanti: devono anche umiliarli. Come? Parlando di merito. Il merito è la giustificazione di ogni ingiustizia. In teoria non ci sarebbe bisogno: il governo dei Migliori fa già tutto quello che vogliono loro e Confindustria (del resto se infarcisci la cabina di regia del Pnrr di consulenti turbo-liberisti, si sa già dove andrai a parare). I poveri sono nullafacenti per indole. Anche quando lavorano, se continuano a essere poveri è per colpa loro, perché non hanno rischiato abbastanza. “I 5Stelle hanno cambiato idea su tutto. Gli è rimasta una cosa, e gliela smontiamo noi: il Reddito di cittadinanza”, ha detto quel miracolato di Renzi, uno che di lavoro fa il senatore della Repubblica e lo stipendiato di una monarchia teocratica islamica senza alcuno scrupolo. “Va rivisto il Reddito di cittadinanza – questo è Salvini – siamo pieni di imprenditori, ristoratori, albergatori in Calabria che non riescono a trovare personale. Molti rispondono che preferiscono stare a casa, con l’aria condizionata, piuttosto che andare a lavorare”. Gli scansafatiche che mangiano alle nostre spalle (523 euro in media al mese) non sono più “i migranti col tablet”: nel misero calcolo elettorale, questi politici (tutti tranne Conte) vogliono ingraziarsi gli imprenditori e nel contempo mettere operai, rider, precari che si spaccano la schiena per salari infami contro i poverissimi percettori del Rdc. Perciò ritengono una priorità eliminare il Rdc, non alzare il salario minimo: in sostanza il Rdc fa concorrenza sleale ai salari che le imprese elargiscono graziosamente ingrassando il loro intoccabile sacro profitto. Chi non produce non merita aiuti statali (“Sussidistan”, lo chiama Bonomi, che invece per le aziende i soldini li vuole). A parte che se i criteri sono la produttività e il merito loro sarebbero i primi a cadere, ci si accorge che costoro stanno minando il concetto di welfare? Va bene, se non si vogliono dare soldi pubblici ai poveracci, non resta che la vecchia soluzione: prendere i soldi privati a chi ne ha evidentemente troppi.
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