mercoledì 25 agosto 2021

Su Charlie

 

Charlie Watts il motore degli Stones
Suonava il rock e amava il jazz È morto a 80 anni il batterista con le “pietre rotolanti” dagli inizi
di Gino Castaldo
Addio caro, elegante, riservato batterista della band più scatenata del mondo, il signore compassato che sembrava già maturo per non dire anziano quando gli altri ancora sgambettavano come giovani monelli, che sembrava capitato quasi per caso in quella gabbia di matti, lui che ha generato una brillante contraddizione in un mondo di batteristi rock in genere considerati dei duri “picchiatori”, come li definiva Keith Richards, lui che veniva dal blues e dal jazz e ha mantenuto questa fede fino alla fine, lui che insieme al bassista Bill Wyman, finché è rimasto, manteneva l’aplomb della compostezza mentre Jagger, Richards e Ron Wood si scatenavano demoniaci, cattivi ragazzi per vocazione e maschera artistica.
Charlie Watts aveva da poco compiuto 80 anni, e aveva già annunciato che non avrebbe partecipato al prossimo tour del gruppo a causa, ha detto con somma ironia, di una erronea scelta di tempo per un intervento chirurgico, non stava bene, aveva bisogno di riposo, poi ieri la morte, “pacifica” secondo il comunicato ufficiale. Con la sua scomparsa si infrange quell’aura di highlander che circonda da sempre la band, sopravvissuta a decenni di stravizi e stravaganze, lui che c’era fin dall’inizio, dal 1963, nel nucleo originario con Wyman, Jagger, Richards e Brian Jones. Quest’ultimo l’unico dei fondatori che era già scomparso, atrocemente presto, nel 1969, quando il mondo stava appena imparando a celebrare la bellezza furiosa e irriverente di quella nuova gioventù, proprio quando gli altri Stones, o meglio i due veri boss, i glimmer twins Jagger/Richards, il loro ex amico Brian, come si è scoperto in seguito, l’avevano già fatto fuori, lasciando una sgradevole ombra su tutta la storia successiva. Watts dava sempre l’impressione di essere del tutto indifferente a quanto avveniva sul palco, faceva il suo dovere, benissimo, teneva il tempo, che non è poco, e lo faceva alla sua maniera, senza mai picchiare, per l’appunto, piuttosto mantenendo un suo lievissimo ritardo, alla maniera jazz, il che secondo molti analisti è in fin dei conti l’ingrediente segreto del sound degli Stones, quello che unito al battito più regolare del basso di Bill Wyman e alla chitarra ruggente di Richards determinava l’inconfondibile lieve slittamento sul tempo che ha fissato tanti pezzi del repertorio Stones. Una batteria che irrompeva quando era il momento di Let’s spend the night together , era il sostegno indispensabile alla voce di Mick
quando doveva cantare l’insoddisfazione di Satisfaction , era la rullata sfacciata e senza appello di Get off of my cloud , era la cupezza dei tamburi che fissavano di nero la porta di
Paint it, black , era quel sottile movimento tellurico di Brown sugar , la chiamata alle armi di Miss you e
Start me up . Lui c’era, c’è sempre stato, ma alla sua maniera, tutti lo sapevano, lo rispettavano per quello che era, col suo distacco, e nel suo tempo libero continuava a coltivare la sua passione per il jazz, incideva dischi, faceva tour per conto suo, ma alla bisogna serrava le fila coi vecchi compagni di strada creando quell’effetto di straniamento che era il marchio inconfondibile dei concerti Rolling Stones, come se ci fossero due piani scenici paralleli, un fronte avanzato con l’incontenibile Jagger e i due fiancheggiatori alla chitarra, Richards e Wood, e un secondo piano più arretrato e freddo, con basso e batteria più controllati, almeno nelle movenze, come se fossero gli operai della macchina, quelli che reggevano tutta la baracca, ma non sentivano alcun bisogno di mettersi in mostra, lasciando la scena ai più vanitosi ed esibizonisti compagni di band.
Questo era Charlie Watts, un batterista distinto ed elegante, per nulla vanaglorioso, anzi discreto, raffinato, capace di lasciare un segno fondamentale nel rock senza mai esagerare, senza un colpo di troppo, e lo ha fatto militando nella band che ha creato lo slogan più malizioso di sempre: sesso, droga e rock’n’roll. Forse lui avrebbe preferito qualcosa di più sobrio, guardava i suoi amici fare pazzie e sberleffi senza battere ciglio. Lui aveva una missione serissima da perseguire: doveva tenere il tempo, e il tempo nella vita è tutto.

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