L’età dell’innocenza
di Michele Serra
Poiché i dettagli contano, bisognerà seguire con partecipazione la causa per pedopornografia intentata da uno studio legale di New York contro la copertina del celebre disco dei Nirvana Nevermind, che ritrae un neonato di quattro mesi, libero e giocondo, che nuota nell’acqua adescato da un dollaro appeso all’amo. In quell’immagine l’unico dettaglio sconcio è il dollaro. Quanto al neonato, solo il più inguaribile dei pervertiti può collegarlo al sesso.
Ma si vede il pisello, il pisellino che ogni essere maschile si porta appresso a partire dall’ecografia. E tanto basta all’avvocata Maggie Mabie per parlare di «consapevole sfruttamento della pornografia infantile», perché «i genitali sono il focus di quella fotografia» (non è vero: il focus di quella fotografia è il neonato intero, ma l’occhio del censore vede solo ciò che gli interessa vedere). Il neonato oggi ha trent’anni, come il disco, e altrettanti ne ha impiegati per abboccare a quell’amo: chiede soldi, come tutti gli adulti, sperando che qualche briciola postuma di quel grande successo arrivi anche a lui.
Ma se la molla — l’avidità — è antica come l’uomo, quello che fa paura, ma paura per davvero, è il nuovo contesto morale, culturale, legale che permette di mettere in piedi una causa per pedopornografia fondata su una visione semplicemente paranoica del corpo di un bambino di quattro mesi.
E forse del corpo umano in generale, vista l’onda neopuritana che tende a trasformare quasi ogni contatto fisico in violenza, quasi ogni desiderio in colpa. Questa onda è tanto più pericolosa in quanto si traveste, ipocritamente, da “difesa dei più deboli”.
Torce una giusta causa agli scopi iniqui, e liberticidi, della mortificazione della carne.
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