mercoledì 14/03/2018
IL COMMENTO
In una sola foto l’eredità del renzismo
DA PULITZER - DOPO UNA ROVINOSA SCONFITTA, PARLA IL VICECAPO E GLI EREDI DI BERLINGUER SMANETTANO COL CELLULARE
di Daniela Ranieri
Come spesso accade, sono i dettagli a fare la Storia. La foto che campeggia su tutti i giornali di ieri e che ritrae la mansarda del Nazareno, dimora del caro estinto, piena di dirigenti del Pd impegnati nell’altisonante rito della Direzione post-elettorale (autocitandoci, confermiamo che la Storia si ripete sempre tre volte: la prima come tragedia, la seconda come farsa, la terza come Direzione del Pd) è un capolavoro involontario della fotografia a cui solo l’odio per Matteo Renzi, come si sa all’origine anche della sua sconfitta al referendum e a tutte le elezioni dal 2014, impedirà di vincere il Pulitzer.
Sotto il soffitto a travi, una platea di più o meno note facce da talk siede in ascolto del comunicato del Comandante letto dal vice Maurizio Martina. All’apparenza tutto procede nella tipica placida irrilevanza di un dibattito del Pd degli ultimi anni, solitamente ruotante attorno al tema “come Matteo Renzi ci farà vincere le elezioni”, solo che stavolta un’aporia ne impedisce il regolare svolgimento. Per monopolizzare l’ordine del giorno il Capo ha dovuto assentarsi.
L’assenza illustre scompagina le dinamiche gerarchiche. Qui un tempo era tutto raduno motivazionale del Folletto Vorwerk, adunata semi-oceanica di “renziani” plaudenti in prima fila e altri correntisti dietro, col capo a minacciare lanciafiamme e a redarguire i sottoposti di non saper usare i social
con la stessa forza di fuoco dell’Isis. Qui i gregari ridevano fantozzianamente alle celie, alle frecciate, ai calembour
del leader, che più loro ridevano più faceva la faccia truce e alzava il tono della voce, per poi riabbassarlo e sorridere gaglioffo a un suo stesso motteggio (poi intimava di “esser seri”). Il nevrotico Napoleonino oggi non c’è (Dio se ci manca!). Eppure, mai come in questa foto è chiaro il suo passaggio vandalico sopra il partito.
Tutti i dirigenti, da Franceschini a Fiano, da Migliore a Bonifazi, da Richetti a Damiano, dalla moglie di Franceschini a Nardella, comprese da qui in poi le trascurabili retrovie, hanno gli occhi sul telefonino. Chi sta twittando che è alla Direzione del Pd; chi concorda l’intervista della sera; chi riferisce a Renzi o ai giornalisti ufficiali; chi si fa i beati affari suoi. Tanto che si fa prima a elencare quelli che non lo fanno: Scalfarotto, sospeso in una ebetudine stuporosa; Emiliano, in piedi vicino alla finestra e vestito come il tecnico delle caldaie; Gentiloni, impegnato a togliersi un pelucco dai pantaloni; Boschi, nascosta da un palo della tensostruttura a scapito della scenografia ufficiale che ancora vuole le più carine sedute in prima fila.
Escluso che stiano chattando con Mattarella, chissà cosa avranno di più importante da fare, questi dirigenti del partito che ha appena perso rovinosamente, che stare nel “qui e ora”, con l’anima e il corpo, a capire il presente e a prospettare un futuro che non sia solo quello del loro stipendio.
Nell’evidenza invisibile del dettaglio (in quello che Roland Barthes chiamava il “punctum”), la foto denuda la vera, unica portata del renzismo. Una corrente diciamo di pensiero che ha eroso ogni riflessione, per non dire ogni ideale, dal discorso politico per installare al suo posto un non-pensiero erratico, solubile, che dura il tempo di un tweet o di uno slogan. La foto disegna un’allegoria bruciante: il paggio Martina ha appena dato lettura della pergamena con cui il Sovrano in contumacia giura che s’è dimesso, che non molla (mollare è da boia) e che tornerà. Gli eredi di Berlinguer, invece di ascoltare, smanettano con l’iPhone, in un contrappasso che definiremmo dantesco se la statura dei soggetti coinvolti non fosse così misera. Emblematico che il soggetto del “tornare”, nella missiva dell’assente, sia “il futuro”, che Renzi, questo genio incompreso della politica, considera contro tutte le evidenze storiche ancora coincidente con la sua persona.
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