Nel solito gustoso bar piacentino a far colazione, con paste e Gazza fresche, noto a fianco a me un signore con davanti a sé un bicchiere mezzo vuoto, che spero sia spuma bianca, ma non lo è. Finito di bere, ne chiede un altro e lo sguardo del barista e la bottiglia confermano la tristezza alcolica. Mi siedo a leggere ma il suo sguardo mi fa chiudere immediatamente il giornale. Basta che gli pronunci la classica frase d'ascensore "freddo oggi eh?" e il signore si siede davanti a me, presentandomi un compendio delle sue disavventure, confezionato sicuramente nelle ore di silenzio assordante che lo avvolgono da chissà quanto tempo. Lo ascolto senza proferir parola, primo perché non sono certamente in grado di consigliarlo e poi perché sentenziare che il vino al mattino faccia male, è inutile, visto che anche lui sicuramente lo sa.
Aveva voglia di parlare, di aprirsi, di snocciolare calamità, ingiustizie, soprusi, dolori. Compartecipo donandogli del tempo, assistendo mentalmente alla trasformazione della mia vecchia auto in una Ferrari triturbo e poi in un jet supersonico utili, visto l'ingigantir del ritardo, per arrivare in tempo ad un appuntamento. Quando ha finito di parlare mi guarda con gli occhi umidi, felice del mio ascolto muto, ma a lui utile per riordinare la mansarda buia e "ragnatelata". Mi alzo per uscire ed ascolto l'ultima frase, una domanda:"capita spesso lei qui?" seguita dal mimo delle pupille invocanti "dimmi di sì, dimmi di sì!"
"No, perché non sono di qui. A volte però vengo e se ci rincontreremo sarò felice di offrigli...un caffè!"
Sorride, come faccio anch'io. Per lui e per la certezza di quanto l'ascolto incondizionato sia molto più utile di filippiche, saggi comportamentali letti dall'alto dello scranno di chi si sente sempre migliore, credendo di avere verità, certezze in tasca, lugubremente forata.
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