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mercoledì 15 febbraio 2017
Le due campane
Sul caso Di Maio, il giallo del messaggio che, pare, essendo stato estrapolato e sparato su alcuni dei maggiori quotidiani (Repubblica - Corriere della Sera e Messaggero di Caltariccone) ha creato un bel trambusto, allorquando lo stesso Di Maio ha pubblicato la versione integrale. Tutto quanto, naturalmente, è stato commentato da angolature diverse.
Di seguito ve ne allego due. Giornalismo da prostituzione o tentativo di arrampicarsi sugli specchi?
Il primo è del Direttore Marco Travaglio, apparso oggi sul Fatto Quotidiano:
Molto fetore per nulla
di Marco Travaglio
Ieri i lettori dei principali quotidiani, praticamente a edicole unificate, hanno appreso che Luigi Di Maio, vicepresidente della Camera e candidato premier del M5S, è un volgare e seriale mentitore. E non su un dettaglio trascurabile: su Raffaele Marra, il dirigente del Campidoglio arrestato a dicembre per corruzione. Di Maio aveva sempre dichiarato (l’ultima volta domenica a In mezz’ora) di aver chiesto a Virginia Raggi di allontanarlo da vicecapo di gabinetto, mentre – scrivono i giornaloni – ne era addirittura il “garante”. Corriere della sera: “E Di Maio scrisse alla sindaca: Marra servitore dello Stato. In tv aveva detto: volevo cacciarlo”. La Repubblica: M5S, le chat che smentiscono Di Maio. Scrisse a Raggi: ‘Marra è uno dei miei’”, “Di Maio garante di Marra, la prova è nelle chat: ‘Lui è uno dei miei, un servitore dello Stato. Smentita la ricostruzione in tv. Di Maio ha mentito su due circostanze che Repubblica è in grado di documentare. Non è vero che lo incontrò il 6 luglio alla Camera ‘per cacciarlo’. Non è vero che fu l’ostinazione della sindaca a impedirne l’allontanamento”. Il Messaggero: “Di Maio rassicurò la Raggi: Marra servitore dello Stato. Spunta un sms al sindaco per la riconferma del fedelissimo. Aveva detto: ‘Volevo cacciarlo’”. Segue il solito bombardamento da destra, centro e sinistra contro il grillino bugiardo.
Diciamo subito come va a finire questa ennesima, tristissima storia di disinformatija all’italiana: Di Maio ha detto la verità, mentre Corriere, Repubblica e Messaggero hanno mentito. C’è da sperare che gli autori degli articoli-fotocopia siano stati tratti in inganno da una fonte inquinata, che ha passato loro solo i frammenti delle chat che servivano a screditare Di Maio, tagliando i messaggi che lo scagionavano. In ogni caso, per scoprire la verità, bastava una telefonata all’interessato, come si fa prima di lanciare accuse così gravi su una materia tanto scivolosa quanto irrilevante sul piano penale, morale e politico: le comunicazioni interne a un partito sulla nomina di un dirigente comunale. L’unico motivo d’interesse per ciò che si dissero Di Maio, Raggi e Marra sarebbe appunto la bugia: ma c’erano già i fatti, prim’ancora delle chat, a dimostrare l’infondatezza del falso scoop. Questi: il 6 luglio, quando incontrò Di Maio per replicare alle accuse e ai sospetti lanciati dagli avversari interni della Raggi e dalla grande stampa, Marra non era indagato (l’accusa di corruzione si seppe solo a metà dicembre, quando la Procura lo arrestò in un’indagine aperta in novembre). Marra gli disse: “Se non riesco a convincerla, mi dimetto”.
Di Maio lo ascoltò, poi chiese alla Raggi di spostarlo da un ruolo politico (membro del gabinetto del sindaco) a uno più tecnico. Non per motivi penali (all’epoca inesistenti), ma di opportunità (troppo compromesso con le giunte passate e troppo padrone della macchina comunale, col rischio che fosse lui a guidare il M5S in Campidoglio e non a esserne guidato). Il 10 agosto Marra lamenta con la Raggi la persistente ostilità di parte del M5S: l’incontro con Di Maio non è servito a nulla. La Raggi, in attesa di trasferirlo – come chiesto da Grillo e Di Maio – in un ruolo più neutro, quello del Personale, lo tranquillizza girandogli un sms di Di Maio. Che, a leggere i giornaloni, suona così: “Quanto alle ragioni di Marra, lui non si senta umiliato. È un servitore dello Stato. Sui miei, il Movimento fa accertamenti ogni mese. L’importante è non trovare nulla”. Che Marra sia un servitore dello Stato, lo dice la sua biografia: ufficiale della Gdf, dirigente al Comune, alla Regione, all’Unire e alla Rai. Eppure l’espressione desta scandalo, fino a diventare la prova che Di Maio era il suo “garante”. Repubblica addirittura traduce quel “sui miei il Movimento fa accertamenti ogni mese” con “Lui è uno dei miei”. Ma lo capisce anche un bambino quel che sta dicendo Di Maio: se il M5S fa le pulci ai suoi, Marra – fedelissimo della Raggi – non deve sentirsi umiliato se le fanno pure a lui.
Ma, oltre alle false deduzione, c’è di più e di peggio: la manipolazione dei messaggi di Di Maio alla Raggi. Un taglia e cuci che si spera sia opera della fonte avvelenata, e non dei giornalisti che se la sono bevuta senza verificarla. Basta leggerli completi, i messaggi, per capire che Di Maio sta dicendo in privato ciò che ha sempre detto in pubblico. Di Maio a Raggi: “Pignatone cosa ti ha detto dopo che gli hai inoltrato il suo nominativo (di Marra, ndr)? In ogni caso nella riunione con me, Marra non mi ha mai chiesto se andare in aspettativa o meno. Semplicemente mi ha raccontato i fatti. Io l’ho ascoltato. Perché tu me lo avevi chiesto. Sono rimasto a tua disposizione non sua. E penso che nel gabinetto non possa stare, perché ci eravamo accordati così”. Raggi a Di Maio: “Pignatone mi risponderà quanto prima…”. Di Maio a Raggi: “Quanto alle ragioni di Marra. Aspettiamo Pignatone. Poi insieme allo staff decidete/ decidiamo. Lui non si senta umiliato. È un servitore dello Stato. Sui miei il Movimento fa accertamenti ogni mese. L’importante è non trovare nulla”. Traduzione: Di Maio voleva Marra fuori dal gabinetto della sindaca e si informava sulle verifiche della Raggi in Procura sull’illibatezza penale dei suoi.
Risultato: chi era partito per suonare è finito suonato, come i pifferi di montagna. Perché alla fine della storiaccia resta un solo dato: i pasticcioni a 5Stelle, quando fanno una nomina, non si accontentano della fedina penale pulita del candidato, ma vogliono pure esser sicuri che non sia indagato. Il che, vedi il successivo arresto di Marra, non li mette al riparo dai guai. Ma, nel Paese dove il governo conferma un ministro e quattro sottosegretari indagati o imputati, è già qualcosa.
Il commento che segue invece è di Carlo Bonini, giornalista di Repubblica che il giorno prima informò i lettori di quanto Di Maio fosse un bugiardo (secondo il suo vedere).
A voi deduzioni e giudizi:
Di Maio, l’estate di Marra e una storia riscritta
di Carlo Bonini
Rendendpubblico un sms inviato a Raggi il 10 agosto 2016 e di cui, con la sindaca, era il solo in possesso, Luigi Di Maio prova a rovesciare il tavolo convinto di dimostrare, senza fornire alcuna prova, di essere vittima di una persecuzione odiosa.
Perché consumata da “Repubblica” attraverso la consapevole manipolazione dei fatti (vale a dire con un lavoro “selettivo” delle chat che in quell’estate dello scorso anno decisero del destino di Raffaele Marra). Ma la mossa, oltre a calunniare questo giornale e ad animare un sabba di odio online alimentato per l’intera giornata dal sito del Fatto Quotidiano, è una toppa peggiore del buco. Che non smentisce quanto falsamente sostenuto domenica scorsa dallo stesso Di Maio nell’intervista televisiva a Lucia Annunziata («Ho incontrato Marra una sola volta. Per cacciarlo»). Che conferma i suoi giudizi di allora sull’«integrità» dello stesso Marra («È un servitore dello Stato») e sulla necessità di non sentirsi «umiliato» per lo screening cui era sottoposto al pari di ogni uomo che godeva della sua fiducia. Che, di più, introduce nella vicenda un nuovo dettaglio che, questa volta, obbliga la Procura della Repubblica a smentirlo e smaschera come tale un’altra furbizia.
Per poter separare il proprio destino politico da quello della Raggi, Di Maio è infatti costretto, a posteriori, a riscrivere la storia di quei giorni di agosto del 2016, facendo dire ai suoi sms con la Raggi quello che quegli sms non dicono. Ma, soprattutto, quello che un comunicato della Procura e quanto accaduto nelle settimane successive al 10 agosto smentiscono. Il vicepresidente della Camera, in sostanza, dice infatti due cose. Che i suoi sms inediti con la Raggi dimostrerebbero come avesse espresso l’intenzione che Marra venisse allontanato dal gabinetto del sindaco e come il suo destino fosse stato legato al “responso” chiesto al procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone, sulla “pulizia” dell’uomo.
Ebbene, la Procura della Repubblica, in una nota ufficiale, svela come, il 12 agosto, la risposta sollecitata dal Campidoglio sul conto di Marra fosse stata del tutto neutra. «Venne comunicato — scrive — che nei confronti di Marra non vi erano iscrizioni suscettibili di comunicazioni. Formula che comprende sia il caso che non vi siano provvedimenti pendenti, sia che risultino procedimenti coperti da segreto investigativo ». È un fatto, dunque, che non solo il 10 agosto 2016 Raffaele Marra fosse ancora nel posto da cui, a dire di Di Maio, era stato cacciato 35 giorni prima (il 6 luglio). Ma che, dal 12 agosto in avanti, il tentativo di legare il destino di Marra alle comunicazioni del Procuratore della Repubblica è un paravento inservibile. A meno, come accadrà, di spendere dentro e fuori il Movimento il senso di quella comunicazione (che abbiamo visto essere neutra) facendole dire dell’altro. Vale a dire, che, sul conto di Marra, “nulla risultava”.
Si dirà: eppure, come documentano ancora gli sms con la Raggi, il “pensiero” di Di Maio era che Marra non dovesse restare nel gabinetto della sindaca. Dunque, l’errore nel perseverare sarebbe stato solo e soltanto della sindaca. Ma, anche in questo caso, i fatti e gli stessi sms con la Raggi, smentiscono quell’asserita intenzione. Il 10 agosto 2016, Di Maio, prendendo tempo, rinvia infatti ogni decisione sostenendo — testualmente — che, a valle delle comunicazioni di Pignatone, «deciderete», «decideremo ». È un plurale che indica una decisione che verrà infatti presa in quel mese di agosto e di cui non risultano dissociazioni dello stesso Di Maio, responsabile degli enti locali del M5S. Marra resterà infatti vice-capo di gabinetto con il sacrificio (tra il 31 agosto e l’1 settembre) dei suoi due nemici in Giunta: l’allora capo di gabinetto Carla Raineri e l’allora assessore al bilancio Marcello Minenna. Di più, a settembre, dopo l’inchiesta con cui il settimanale l’Espresso, a firma Emiliano Fittipaldi (anche di lui Di Maio ha chiesto il processo disciplinare all’Ordine), svela la vicenda della casa di Marra acquistata a prezzo di favore dal costruttore Scarpellini (circostanza che lo porterà in carcere il 16 dicembre successivo per corruzione), Marra viene promosso a capo del Personale del Campidoglio. Un incarico nevralgico nella vita dell’amministrazione. Benedetto da una narrazione, allora, come oggi, identica a se stessa, per la quale arriva in soccorso Marco Travaglio, direttore del Fatto, che scrive: «Marra invece è incensurato, e questo forse è il problema: però il Messaggero assicura che, siccome comprò casa dal costruttore Scarpellini allo stesso prezzo stimato da una perizia della banca Barclays che gli erogò il mutuo, senza mai firmare un atto riguardante Scarpellini (all’epoca si occupava di incremento delle razze equine), “la Procura sembra voler fare chiarezza”. Ergo, è il mostro di Lochness ». Sappiamo come è andata.
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