domenica 12 ottobre 2025

L'Amaca

 

Quante cose cancella la guerra
di Michele Serra
A parte l’impatto mortale sulle persone e sulle cose, uno dei difetti peggiori della guerra è che si mangia tutto il resto. Non si riesce a parlare d’altro, perfino in Paesi come il nostro che delle guerre in corso è spettatore passivo — benché molto rissoso nei commenti politici. Magari anche in funzione della propensione nazionale all’emotività (niente attiva l’emotività come una guerra), l’agenda politica italiana, pagina dopo pagina, sembra sepolta anch’essa sotto le macerie di Gaza.
L’economia, per esempio, che siamo abituati a considerare la materia prima del conflitto politico e dell’azione dei governi. È vero che i nostri salari sono i più miseri d’Europa? Che la produzione industriale stenta a reggere un ritmo accettabile? Che i costi energetici sono costantemente altissimi, molto più alti che altrove? Che la sanità pubblica è in costante deperimento, e mancano medici e infermieri? Che il precariato degli insegnanti (tema del quale sento parlare da quando facevo il liceo, dunque da tempo immemorabile) resta una piaga strutturale della scuola italiana non solo per gli insegnanti medesimi, anche per l’efficienza del sistema scolastico?
La piazza mediatica, che è parte organica della piazza politica, sembra ipnotizzata da droni e bombardieri. Solo i dazi di Trump riescono, ogni tanto, a irrompere sulla scena e a conquistare le prime pagine. Per il resto, grosso modo, qualcuno sa che c’è una proposta per introdurre il salario minimo, pochissimi hanno sentito dire che nella vicina Francia è in piedi, e molto dibattuta, un’ipotesi di tassa patrimoniale per dare una mano al Welfare. Proprio come ai tempi d’oro delle guerre imperialiste, la lotta di classe è la prima a essere sovrastata dal fragore delle armi.

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