domenica 5 ottobre 2025

L’Amaca

 

Vogliamo tutt’altro 

di Michele Serra

Gli slogan — quando sono efficaci — possono fare la storia. Da modesto osservatore dei lavori in corso per farla ripartire, la storia (un po’ come l’umarel che scruta il cantiere), mi permetto di dire che “blocchiamo tutto”, come slogan, mi suona sgarbato e inefficace, roba da gilets jaunes. Velleitario, minaccioso e respingente.

Mentre mi piace molto lo striscione con la scritta “vogliamo tutt’altro”, che è l’evoluzione intelligente (e al tempo stesso una smentita) del “vogliamo tutto” post sessantottino. Quello slogan da un lato indirizzava, dall’altro presagiva la sconfitta drammatica di quel movimento di massa: volere tutto è la maniera migliore per giustificare il fatto che non si è ottenuto niente. Quasi un alibi preconfezionato.

Era sospettabile, per giunta, di una specie di bulimia consumista, e la presa del carrello dei bolliti del ristorante Cantunzein, nel Settantasette bolognese, lo archivierei come l’atto simbolico, tragicomico, di un finale di partita.

“Vogliamo tutt’altro” è invece uno spostamento geniale di prospettiva: non è il vostro “tutto”, che ci interessa, non è conquistare quello che c’è già, e non ci piace. Sono le cose che non ci sono, è un altro paradigma quello per il quale ci battiamo, e proprio a questo, in fin dei conti, dovrebbe servire la politica, aprire prospettive nuove, fare intravvedere possibilità e occasioni prima non contemplate.

Per far funzionare meglio il mondo, per vivere meglio, servirebbe tutt’altro: suona bene, suona giusto. E suggerisce non di fare incetta del presente, ma di occuparsi del futuro. No, non vogliamo tutto. Vogliamo altro.

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