Un partito senza museruola
di Michele Serra
La passione del Salvini per celle, chiavistelli, manette (all’insegna dell’edificante motto “butta via la chiave”) ha subito una battuta d’arresto per colpa di quello che rimane dei centristi democratici europei, il cui voto ha evitato a Salis di tornare nelle mani di Orbán: uno che vale, quanto a diritti e garanzie, più o meno come i generali argentini di cinquant’anni fa.
Perché la Lega sia diventata il partito più feroce del paese — un partito con le zanne, e senza museruola — con buona pace dei suoi ipocriti “moderati” (Zaia, Fedriga, Giorgetti, Fontana, che hanno la poltrona assicurata a patto di non dire in pubblico che cosa pensano in privato del Salvini), è un mezzo mistero. Per metà già incluso nel pensiero del fondatore Bossi, amico delle doppiette e del gesto dell’ombrello; per l’altra metà inspiegabile: c’era già un partito fascista, perché farne un altro?
Si parlava ieri, proprio qui, di quanto sia poco simpatica la sinistra rimproverante. Oggi l’attenzione si sposta sulla destra carcerante, che non è nelle condizioni di capire che Salis non è una latitante, è una cittadina europea coinvolta in scontri di piazza (antifascisti versus neonazisti) che dovrebbe essere giudicata per il suo ruolo negli scontri di piazza: certo non per terrorismo. Riconsegnarla a Orbán, che è un Salvini che ha fatto carriera, equivale a cancellare il concetto di diritti dell’imputato, di processo equo, di giusta proporzione tra il reato e la pena. Salis tradotta davanti ai suoi giudici ungheresi in catene e guinzaglio, come oggi è diventato sconveniente fare anche con i cani, è un’immagine schifosa. Per il Salvini, entusiasmante: una zecca in catene è la gioia suprema, per i fascisti.
Salis chiede di essere processata in Italia. Equivale a dire: in Ungheria no, perché è come se mi processasse il Salvini. Come non capirla.
Nessun commento:
Posta un commento