lunedì 9 settembre 2024

Patta

 

Dio, patta e famiglia
di Marco Travaglio
Ora che il caso Sangiuliano-Boccia è finito come doveva finire, possiamo finalmente vomitare per questa fiera del tartufo, questo campionato del sepolcro imbiancato, quest’olimpiade dell’ipocrisia: per una settimana politici e commentatori che hanno riempito istituzioni, Rai, enti pubblici e parapubblici, persino i servizi segreti (ce l’ha detto sabato Crosetto) di parenti, amanti, amici e compari, hanno lapidato ‘o Ministro ‘nnammurato per aver pensato di dare una consulenza gratuita alla gentildonna, senza che nessuno pronunciasse il fatidico monito: “Chi è senza peccato scagli la prima pietra”. I giornalisti-storici, per trovare analogie fra presente e passato, sono ricorsi a quello remoto della coppia Mussolini-Petacci (che col caso in questione non c’entra nulla), per non dover citare casi ben più vicini e attinenti. Che però smentirebbero il negazionismo sui danni devastanti di Tangentopoli e della compianta classe digerente della Prima Repubblica.
Per esempio gli harem di Craxi e De Michelis, che sarebbero stati affari loro se non li avessimo pagati noi. Le sentenze definitive raccontano che Craxi, a una delle sue favorite, comprò “la stazione televisiva Roma Cine Tivù (di cui era direttrice generale Anja Pieroni, legata a Craxi da rapporti sentimentali) e un contributo mensile di 100 milioni di lire… Dispose l’acquisto di una casa e di un albergo (l’Ivanhoe, ndr) a Roma, intestati alla Pieroni”. Alla quale faceva pure pagare “la servitù, l’autista e la segretaria”. A spese sue? No, a spese nostre: coi soldi delle tangenti che incassava pilotando appalti pubblici verso chi lo foraggiava. De Michelis – raccontò la sua bella segretaria Nadia Bolgan – aveva uno staff di “una cinquantina di persone, molte delle quali donne incontrate di passaggio e senz’alcuna preparazione professionale; erano lì solo perché gli piacevano, e ciascuna pensava di essere la favorita dell’harem”. L’Avanzo di Balera, come lo chiamava Enzo Biagi, al crollo dell’impero lasciò un conto non pagato di 490 milioni all’Hotel Plaza di Roma, dove aveva occupato per anni una suite, che costava da 370mila lire al giorno soltanto per gli “extra”. Un altro “socialista”, Claudio Martelli, viveva in una splendida villa sull’Appia Antica (l’Appia dei Popoli, la ribattezzò Ottaviano Del Turco, anche lui poi condannato), fra quelle di Gina Lollobrigida e di Franco Zeffirelli, con servitù in livrea e guanti bianchi. Tutto ciò ovviamente non assolve Sangiuliano né tantomeno una destra che s’impiccia nelle vite degli altri al grido di “Dio patria e famiglia” e poi opta per il più pratico “Dio patta e famiglia”. Aiuta soltanto a lumeggiare il contesto contro i revisionisti del “si stava meglio quando si stava peggio”. No: si stava peggio.

Nessun commento:

Posta un commento