sabato 8 giugno 2024

Tanto per ricordare


 LIGURIA 


di Marco Grasso


IL GOVERNATORE LIGURE GIOVANNI TOTI, l’imprenditore ed ex presidente di Genoa e Livorno Aldo Spinelli, il presidente dell’Autorità portuale Aldo Paolo Emilio Signorini. Per l’accusa erano al vertice di una consorteria che per anni ha indirizzato alcuni dei più grandi affari portuali e immobiliari. Lo schema, per i pm, prevedeva uno scambio reciproco: favori in cambio di finanziamenti per le campagne elettorali.

Quello che scuote la Liguria è forse lo scandalo di corruzione più importante degli ultimi anni, ma non è la prima volta che un presidente di giunta viene arrestato in questa regione. C’è un precedente illustre, che risale a 41 anni fa: il caso Teardo. È il giugno 1983 quando l’allora potentissimo socialista Alberto Teardo viene arrestato su ordine dei pm Francantonio Granero e Michele Del Gaudio. Di origini venete, Teardo ha costruito il suo potere a Savona, dove è arrivato come sindacalista della Fiom in quota socialista e qui ha scalato i vertici del partito. In tasca ha due tessere: una del Psi e una della loggia P2. Diventa prima assessore e poi presidente della giunta regionale, mettendo in piedi secondo i magistrati un gigantesco sistema di tangenti: chi vuole lavorare, deve pagare.

C’è poi una particolarità: la macchina del consenso teardiano passa da un si- stema parallelo al partito, i cosiddetti Cad 2 (Centri d’azione democratica), presidi in cui i magistrati trovano traccia di voti comprati e procacciati da famiglie malavitose. Fra i personaggi coinvolti c’è il boss calabrese di Ventimiglia, Peppino Marcianò. Teardo è uno dei primi politici a essere incriminato per associazione a delinquere di stampo mafioso, reato introdotto con la legge Rognoni-La Torre un anno prima. Nonostante i conclamati contatti con i clan, quella mafiosa è un’accusa che cade: Teardo alla fine sarà condannato a 12 anni e 9 mesi per associazione a delinquere (non mafiosa), concussione continuata, peculato ed estorsione.

Il caso Teardo, a oggi, resta il più grande scandalo della politica ligure, una sorta di anticipazione di Tangentopoli. Bisognerà aspettare altri trent’anni prima che la magistratura riesca a portare a processo le infiltrazioni dei clan sul voto regionale. Nel 2010 l’operazione Maglio 3 colpisce per la prima volta la ‘ndrangheta in Liguria. Fra i boss arrestati c’è anche quel Marcianò già comparso nell’inchiesta su Teardo. La ’ndrangheta, secondo i carabinieri del Ros, ha orientato varie votazioni: secondo gli inquirenti era già successo nel 2000, durante le elezioni che portano al potere il centrodestra, ma sono contestazioni che verranno archiviate; la nuova indagine porta alla condanna a un anno mezzo per promesse elettorali di Alessio Saso – consigliere regionale del Pdl intercettato mentre chiede voti al boss Mimmo Gan- gemi – e al patteggiamento di un consigliere comunale candidato in Regione, Aldo Praticò. Ma è un po’ tutta la politica a non uscirne benissimo. »

Sono gli stessi anni di un altro scandalo politico: quello delle “spese pazze”.

Il fronte del porto mette nei guai Giovanni Toti, per i suoi rapporti con l’imprenditore Spinelli

L’inchiesta nasce quasi in contemporanea a quella sul tesoriere ligure della Lega Francesco Belsito e agli ormai noti 49 milioni di euro. Una sessantina di consiglieri regionali di ogni co- lore, la quasi totalità delle ultime due legisla- ture, vengono coinvolti in un’indagine che ipo- tizza un sistematico peculato. I consiglieri, secondo i pm, mettevano a rimborso spese per- sonali, facendole passare come costi dell’atti- vità politica. Le indagini avranno esiti alterni: un filone porta alla condanna di ex apparte- nenti all’Italia dei valori; il grosso degli altri politici verranno assolti. Per molti arrivano però le condanne della Corte dei Conti.

Ci sono altre tre indagini che lambiscono i vertici della Regione Liguria, tutte archiviate. La prima riguarda la presunta truffa sui de-

rivati: una maxi prestito contratto con la banca Nomura, per coprire il buco della sanità durante la giunta di centrodestra di Sandro Biasotti (non indagato). La sanità costa un’indagine anche all’ex governatore di centrosinistra Claudio Burlando, sospettato di aver favorito un gruppo privato nella privatizzazione dell’ospedale di Albenga e poi prosciolto. Sempre Burlando viene indagato e ancora una volta prosciolto in un’altra inchiesta: quella sulla centrale a carbone Tirreno Power di Vado Ligure. Il processo per disastro ambientale si concluderà con l’assoluzione di manager e tecnici.

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