sabato 8 giugno 2024

Ritratto


Lo sputazzo di Angelucci, scena di “malavita” politica ordinaria

DI PINO CORRIAS

Cazzo, culo, coglione! A esercitare libertà d’eloquio in nome della nuova egemonia culturale dello sputazzo non è per una volta Vannacci il generale della Decima. Non è Bandecchi, il pugile di Terni. Non è nemmeno Vincenzo De Luca, il pittoresco governatore della Campania. Ma è il maggiore editore della destra italiana, Antonio Angelucci, quello coi baffetti e la Ferrari, membro a buon diritto della Commissione Cultura della Camera, e involontariamente della Commissione Stracciaroli della Nazione, che ha finalmente rilasciato la sua prima intervista a un bravo cronista del Fatto. Alla prima domanda ha risposto: “Non rompere i coglioni!”. Alla seconda: “Fatti i cazzi tuoi!”. Alla terza: “Hai rotto il cazzo, vattene affanculo”. Alle successive si è messo di mezzo uno dei suoi numerosi bodyguard che alle parole del suo boss ci ha aggiunto un paio di leggeri spintoni: “Non costringetemi a buttarvi a terra”, ha detto al cronista e al suo operatore, dimostrando di essere di gran lunga il più educato, forse anche il più colto, della comitiva Angelucci.

Sembra una scena di malavita e lo è. La malavita della politica ordinaria sempre più frequentata da questi trafficanti di parolacce, improperi, minacce – “Angelucci è simpatico a tutti, è l’onorevole più ricco del Parlamento”, dicono i suoi colleghi, succhiandosi le guance, beati loro – così simpatico e carico di contante da essere diventato il maggior produttore di cultura e di informazione che la destra si merita a sua immagine. Famoso per le fuoriserie che guida. Per le feste che organizza. Per il suo personale record di assenteismo dalle aule di Montecitorio, che non lo fanno minimamente arrossire per lo stipendio che da quattro legislature, 15 anni, incassa senza fiatare. Ma che a forza di sghignazzi della plebaglia politica e giornalistica che lo circonda, fanno status, fanno curriculum.

La sua storia sembra inventata. Da ex portantino d’ospedale con la licenza media in tasca, a re delle cliniche private e residenze per anziani. Poi case, palazzi, ville, la carriera politica con Berlusconi, Salvini, Meloni, una intera corte di servitori bipartisan, quelli più sensibili alla grana, Denis Verdini, Matteo Renzi, Massimo D’Alema, Marcello Dell’Utri. Poi diventati folla quando ai pannoloni delle residenze, Angelucci ci ha aggiunto i fogli della destra, comprandosi Libero, Il Tempo, Il Giornale. In prospettiva anche La Verità di Belpietro e l’agenzia di stampa Agi dell’Eni, più un pensamento per addentare prima o poi i lombi nobili di Repubblica, il favoloso giocattolo editoriale che il bravo John Elkann sta scassando un po’ alla volta.

Nessuno fiata. Anzi. La prepotenza proprietaria diventa contagiosa. L’altro giorno Gaetanto Caltagirone, in arte Caltariccone (Dagospia dixit) palazzinaro di lungo corso, editore di Messaggero, Mattino e Gazzettino, ha cacciato in malo modo Alessandro Barbano, direttore del Messaggero, che aveva assunto 28 giorni prima. Motivo? Non essersi sottomesso alla pretesa di Giorgia Meloni e del suo staff che volevano domande e risposte scritte e revisionate, cioè una intervista addomesticata e senza temi scomodi. Il contrario del giornalismo rispettabile. Disponibile a piegare la testa, a fare finta di non accorgersi di quanto la politica si sia allontanata dagli standard di minima decenza: la ministra Daniela Santanchè che ancora parla di Turismo, ma resta muta sulle inchieste che la riguardano; il campionissimo del mese, Giovanni Toti, governatore della Liguria, che non si dimette – non ci pensa proprio – e dagli arresti domiciliari manda pizzini ai suoi bravi che eseguono e votano a suo comando. Siamo diventati Mompracen, l’isola dei pirati. Ma più ancora l’isola dello sputazzo. La naturale conseguenza di una intossicazione della politica, dell’etica, della mediocre educazione, che dura da una trentina d’anni, il vero lascito di Berlusconi, che la gran parte dei politologi ammira, al netto delle bugie, delle frodi, delle inchieste, della corruzione, della mafia, delle mignotte, “perché in fondo era un gran simpatico”. Esattamente quanto l’Angelucci, i suoi soldi, i suoi “cazzo!”, “culo!”, “coglione!” ringhiati in piazza, a dirci lo sprofondo in cui ci siamo cacciati.

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