La pigrizia del proibizionismo
DI MICHELE SERRA
Ha ragione il sottosegretario Mantovano quando dice che «tutte le droghe fanno male». Dice il vero. Fanno male gli oppiacei, le anfetamine, la cannabis, la nicotina, il vino, l’amaro anche se dei frati. Fanno male l’abuso di farmaci, gli eccessi alimentari, gli insaccati, le cene grevi, gli strapazzi erotici, l’inattività fisica, il tirar mattina, fa male la vita irregolare, fanno male molti amori e molto spesso, a fare male, è la vita stessa.
Ma fa ancora più male vietare per legge questi mali, illudersi di eliminarli ammanettandoli. Tanto è vero che neppure il più ottuso o severo dei legislatori si sognerebbe di proibire il vino, le sigarette, i cibi grassi, gli zuccheri, l’abuso di farmaci, solo perché “fanno male”. I comportamenti sani si possono solo suggerire, magari sulla base di qualche informazione scientifica attendibile e di una buona politica scolastica; ma imporli per legge equivale a trattare i cittadini da bambini (come fanno le dittature) e a ingrassare il mercato nero ad ogni nuova proibizione. Quando si dice che la virtù non si può imporre per decreto non lo si dice perché si è favorevoli al vizio. Ma perché si considera che lo Stato non debba illudere se stesso, e i cittadini, che il vizio sia estirpabile con un così banale espediente, un “no!” gridato come quello che si grida al cane o al gatto quando si avvicinano all’arrosto.
L’educazione, l’amor proprio, la disciplina, la continenza, il senso della misura non sono cose che si impongono, sono cose che si insegnano. Per questo il proibizionismo ha effetti catastrofici: perché è pigro. Insegnare è faticoso, punire è facilissimo.
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