venerdì 10 marzo 2023

L'Amaca

 

Il mistero del tassinaro
DI MICHELE SERRA
Se fossi un tassista romano deciderei che è ora di agire.
Un mestiere onesto, impegnativo, importante, al servizio del pubblico, minaccia di diventare sinonimo delle peggiori cose.Prendete (notizia di poche ore fa) il tassinaro energumeno che ha picchiato una guardia giurata, a Fiumicino, perché gli ricordava le regole del mestiere, ovvero che deve andare dove il cliente gli chiede, non dove vuole lui. Ennesimo episodio di una ostinata, annosa sedizione corporativa ai danni dei turisti e del buon nome di quella che, dopotutto, è la capitale del Paese.
Sui taxi di Roma può capitare di tutto.
Perfino di essere accolti con gentilezza, e accompagnati dove richiesto. Ma anche di sentirsi dire “vado da un’altra parte, si rivolga a un collega”, o “il Pos non funziona” (atteggiamento molto governativo), o un incredibile “e ‘ndo sta?” dopo avere indicato un indirizzo. Risposta inevitabile: se non lo sa lei che fa il tassista, ‘ndo sta, come faccio a saperlo io, che sono il cliente?
Insomma, c’è un mistero da chiarire: come è stato possibile che una categoria di professionisti come tanti sia diventata una specie di caso sociale. Si va da agitatori di estrema destra, in grado di marciare su Roma in taxi, a rivolte più generiche. Da un diffuso malumore (decisamente inadatto al contatto con il pubblico) alla privatizzazione di una trattativa teoricamente soggetta a regole pubbliche: di tariffa, di destinazione, di rispetto.
I tassinari normali, che sono sicuramente la maggioranza, si mobilitino, e neutralizzino i loro colleghi borderline, prima che sia troppo tardi e “tassinaro” diventi sinonimo di “meglio prendere l’autobus”. Che a Roma è tutto dire.

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