In fondo a destra
di Marco Travaglio
Accade ciclicamente di dimenticarsi cos’è la “destra” italiana. Poi per fortuna provvede essa stessa a ricordarcelo. Per solennizzare il ventennale dalla morte di Indro Montanelli, la famiglia Berlusconi ha nominato il nuovo direttore del Giornale. Dal 1994 all’altroieri aveva cercato quanto di più lontano dal fondatore, in un crescendo rossiniano all’incontrario partito da Feltri e giunto fino a Sallusti. Di peggio, si pensava, era difficile scovare. Ma, da quelle parti, mai disperare: infatti il nuovo direttore è Augusto Minzolini, che al Tg1 nascondeva le notizie e, quando proprio non poteva farne a meno, le taroccava (memorabile la prescrizione dell’avvocato Mills spacciata per assoluzione). Poi concluse in bellezza la sua carriera in Rai con una condanna per peculato perché rubava sulle note spese. Il che gli valse la promozione a senatore di FI, salvo poi dover lasciare il Senato per la legge Severino. Ora, non potendo più mettere piede in Parlamento, l’hanno piazzato al Giornale.
A Napoli, il candidato sindaco del centrodestra Catello Maresca, pm in aspettativa nella stessa città, dichiara: “Il Paese ha ancora bisogno di Berlusconi. Servono persone come lui in prima linea a Napoli. Io sono un costituzionalista convinto (sic, ndr) e la Costituzione ci impone il principio di non colpevolezza fino a sentenza passata in giudicato. Credo che il presidente Berlusconi abbia una sola condanna passata in giudicato” (segue supercazzola sulla Corte europea). Il sillogismo non fa una grinza: tutti sono innocenti fino a condanna definitiva; B. ha una condanna definitiva; dunque è innocente. E questo – è bene ripeterlo – è un pm che faceva le indagini fino all’altroieri e tornerà a farle da ottobre se sarà trombato. Il che pone ai napoletani un bel dilemma etico: votarlo perché faccia danni a Napoli ma smetta di farne alla giustizia, o non votarlo perché torni a far danni alla giustizia ma non cominci a farne a Napoli? Fino a un anno fa, a parte gli addetti ai lavori, nessuno sapeva chi fosse. Poi Massimo Giletti, che sta al giornalismo come Maresca alla toga, cominciò a invitarlo a “Non è l’Arena, è Salvini” per sostenere che le centinaia di boss usciti per il Covid (che poi erano tre) non li avevano scarcerati i giudici, ma il ministro Bonafede (che non ha mai scarcerato né incarcerato nessuno). Maresca non parlava ancora da “costituzionalista”, ma – diceva lui – da “tecnico”. Ora si candida col partito rappresentato a Napoli da Giggino ’a Purpetta, indagato per camorra con tre fratelli arrestati. Ma, da tecnico, da costituzionalista e da pm anticamorra in aspettativa, assicura che con Giggino sul palco non ci sale. Ha la moralità delle demi-vierges, convinte che la verginità sia questione di millimetri.
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