Tra le varie godurie culinarie, una si staglia su tutte: la "faraonata".
Tra i pennuti da pollaio la faraona è regina; udire il verso della Numida meleagris, questo il suo nome tecnico, quando ancora assieme alle consorelle sbraita nell'orto, una specie di raglio in modalità crescente, mi fa pregustare maggiormente l'incontro sul desco, tanto il suo gridare sia sonoramente insopportabile.
Quando viene cucinata al forno, la faraona dona emozioni tali da ridurre a yogurt bianco senza grassi gli altri gallinacei, gallo compreso; essa elargisce una carne saporita ed irrorata dal sughetto trasudato dalla sua permanenza in forno, che non ha eguali e che paragonerei ad un'entrata per sbaglio in camerino-prove mentre Bar Refaeli e le sue colleghe stanno provando i costumi da mare della nuova collezione.
Una volta terminato di divorare le sue parti nobili, scatta un meraviglioso meccanismo papillare, consistente nell'assalto alla carcassa, rivelante anfratti e nascondigli di sapori tali da portare ad un'eccitazione sfrenata i recettori del gusto, paragonabile ad andar per mare con un gozzo attorno a Capri, scoprendo insenature da fiaba (meglio poi se in barca avete le modelle sopracitate che usano dei suddetti modelli).
La faraona richiama il vino come Salvini le cazzate, Orfini la commiserazione e Gigi D'Alessio i tappi antirumore e quando partecipo alle "faraonate" dai miei suoceri ho la consapevolezza che se per i giusti la partenza migliore da questo mondo sia nel sonno, per gli impenitenti gastronomici come me consista nel cader di faccia in teglia, vegliato dal sugo e dai resti della Numida, cosa che credo sogni anche il Nano Pregiudicato ma con altra tipologia attrattiva!
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