M'inchino per l'ennesima volta al mitico Travaglio che oggi sul Fatto Quotidiano scrive questa magica ed assolutamente realistica letterina!
Caro
Matteo, tuo Silvio
di
Marco Travaglio
Caro
Matteo, è un po’ che non ci sentiamo, ma sai di essere sempre nel mio cuore,
come il figlio che avrei voluto avere. Perciò non ti nascondo l’amarezza e il
senso di abbandono di questa dolorosa estate che – pensa un po’ – mi fa
rimpiangere persino quella di due anni fa, quando – è vero - fui condannato in
Cassazione, ma – per dio - mi sentivo ancora vivo e vegeto. Avevo appena fatto
rieleggere l’amico Giorgio, che in cambio mi aveva riportato al governo e mi
dava istruzioni per avere la grazia. Avessi dato retta a lui e ai miei figli,
anziché a Ghedini, l’avrei chiesta, quella benedetta grazia. E l’avrei
ottenuta, magari al prezzo di rinunciare al seggio in Senato, che tanto ho
perso comunque. E mi sarei risparmiato i nove mesi a Cesano Boscone durante i
quali, mentre io cambiavo il catetere ad anziani molto più giovani di me, tu mi
portavi via tutto: governo, sottogoverno, Rai (senza spostare una pianta),
deputati e senatori, perfino Bondi e Signorini, ma soprattutto il mio
programma, le mie idee, i miei slogan, le mie balle, e ora pure Verdini. Tutti
dicono che sono in crisi per la mia età: ma quale vecchio, lo sai benissimo che
in questo Paese meraviglioso io vincerei le elezioni anche da morto. Il
problema è un altro, e ha il tuo nome e la tua faccia: tu dici e fai tutto
quello che dicevo e facevo io, e io non so più cosa dire e cosa fare.
La
mattina mi sveglio e preparo una bella dichiarazione per l’Ansa; poi apro i
giornali, o vado su Gogol (Google, ndr) e su Squitter (Twitter, ndr) e scopro
che l’hai già fatta tu. Sei diventato talmente bravo, cioè talmente Berlusconi,
che anticipi persino i miei pensieri. Penso che è ora di farla finita con lo
Statuto dei lavoratori e il divieto illiberale di licenziare a piacere, ora che
non c’è più Cofferati con i suoi 2 milioni di operai in piazza: ma non finisco
il pensiero che tu hai già presentato il Jobs Act. Mi viene in mente una bella
riforma della scuola, con un bel preside padrone che metta in riga tutti quegli
insegnanti comunisti e sessantottini, ma in quel mentre mi dicono che l’hai già
fatta tu. Mi butto sulla riforma della giustizia, un evergreen quattro stagioni
che si porta su tutto: meno indagini e meno intercettazioni, senza contare quel
fastidioso fenomeno dei cittadini armati di telefonino che registrano e filmano
mazzette e porcate varie. E tu che fai? Mi previeni in combutta con Angelino,
che è sempre stato duro di comprendonio, ma qualcosa di mio gli è rimasto, a
sua insaputa, dopo tanti anni di servizio in camera.
Azzardo
con i miei: riproviamo con la responsabilità civile dei giud…, ma quelli mi
interrompono: “Niente da fare, capo, l’ha già fatta Renzi”. Mi tuffo a
capofitto sulla riforma della Costituzione, per dimezzare il Parlamento che fa
solo perder tempo, e su quella elettorale per garantirci un nuovo Parlamento di
nominati tipo Porcellum. Mi bloccano di nuovo: “Capo, niente da fare, Renzi ci
ha battuti sul tempo”. Vabbè, dico io: allora diciamo basta agli arresti dei
parlamenta… Non finisco la frase e Dudù si mette ad abbaiare, poi l’interprete
traduce dal duduese: “Padrone, il Pd ha appena salvato Azzollini dalle manette
per bancarotta fraudolenta e associazione per delinquere”. Ma, dico io, non era
quello che voleva pisciare in bocca a una suora? “Sì – abbaia lui – ma questo a
Renzi l’ha reso simpatico”. Che mi resta da dire, di originale? Ah, sì, ecco:
la legge Gasparri è perfetta per tenere la Rai sotto il controllo dei partiti,
cioè ferma immobile mentre Mediaset si fa gli affari suoi. Gasparri, che sta
correndo per riportare l’osso lanciato da Dudù, mi viene incontro trafelato:
“Silvio, lascia perdere, il ministro Padoan ha appena detto che la mia legge
non si cambia, anzi si usa per rilottizzare la Rai. Carini come sono, per
mandarla definitivamente a ramengo han dato un programma a Riotta”. Ideona:
facciamo un decreto salva-Ilva. Niente, l’hai appena fatto tu, l’ottavo.
A
corto di idee nuove, rifaccio cose già fatte. Tipo andare da Putin. Ma quello
risponde: “Ora c’è qui Matteo, magari un’altra volta”. Prenoto un volo per
Gerusalemme, così vado alla Knesset travestito da israeliano e da Abu Mazen
camuffato da feddayin: è un mio classico, funziona sempre. Mi bloccano alla
frontiera: “L’ha appena fatto Renzi, uguale sputato”. Allora penso: ora lo
frego col partito unico della nazione e – mi voglio rovinare - anche col sindacato
unico. Poi scopro che l’hai già detto tu. Ultimo tentativo, o la va o la
spacca: “Meno tasse per tutti e via l’Imu sulla prima casa”. Come dici? Sei già
arrivato anche lì? E che palle, ma allora dillo. Manca solo che tu faccia
ministre le tue amichette. Vabbè, mi consolo con i miei giornali: nessuno può
amare te come Sallusti ama me. Poi mi portano l’Unità. Prima pagina: “Arriva la
banda! Ed è larga”. Penso a un titolo su Azzollini, invece è un soffietto al
governo sull’Interdent (Internet, ndr) veloce. Quattro pagine sulla riforma
della scuola: roba che i miei house organ ai tempi della Gelmini se la
sognavano. Pagina 15: “I ‘pubblici’ sotto il ministero: Madia scende a
incontrarli”. Cribbio, ma al confronto Fede era un comunista e Sallusti è un
tupamaro! Ecco, Matteo, ci siamo capiti: se mi rubi ogni giorno il mestiere, io
che ci sto a fare? Mi viene un dubbio: non è che, quando ti offrii la guida del
Pdl, tu dicesti sì e io capii no? Ti prego, esaudisci l’ultimo desiderio del
tuo Papi: o fai il capo del centrodestra, e allora io mi butto a sinistra,
oppure si torna a giocare come una volta, quando tutti facevamo le stesse cose,
ma almeno a parole fingevamo di essere diversi. Eddai, lascia qualcosa da fare
al tuo povero vecchio.
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