Le contraddizioni di Fontana. Il conto svizzero non
era dormiente
28 LUGLIO 2020
L'inchiesta camici in
Lombardia: accertati movimenti per centinaia di migliaia di euro tra il 2009 e
il 2013. I pm scavano per capire di chi fossero. Perquisita la società del
cognato
DI LUCA DE VITO
MILANO — C’è una lunga serie di incongruenze nelle dichiarazioni di Attilio
Fontana rispetto a quanto emerge dall’inchiesta della Procura di Milano. Mentre
i magistrati e i militari della Guardia di Finanza dragano le carte raccolte in
questi mesi e vanno alla ricerca dei camici (ieri sera è stata fatta una
perquisizione presso la società del cognato di Fontana), mettendo insieme i
pezzi dell’indagine e le versioni del governatore ogni giorno si evidenziano
nuove contraddizioni.
Il denaro all’estero
Il primo aspetto riguarda le provviste di denaro depositato all’estero, la
cui prima traccia nel tempo è il trust alle Bahamas aperto nel 1997. Si tratta
dei 5,3 milioni scudati nel 2015, diventati 4,4 oggi e scoperti sul conto Ubs
di Fontana quando ha provato a fare il bonifico per risarcire il cognato. Il
lascito di un’eredità, secondo la versione ufficiale. Il Governatore,
nell’intervista rilasciata ieri a Repubblica, ha dichiarato che i suoi genitori
non hanno mai evaso le tasse, ma come questo possa coniugarsi con la detenzione
illegale di grosse cifre di denaro su un conto svizzero intestato alla madre
non è chiaro. Se fossero stati soldi legalmente portati all’estero, allora non
ci sarebbe stato bisogno di scudarli con i trust alle Bahamas (di cui Fontana
risultava beneficiario) e di redigere una voluntary disclosure nel 2015 per
regolarizzare la posizione. Un’incongruenza che non ha spiegazioni e su cui
Fontana non è riuscito a fare chiarezza.
Di chi sono quei soldi
Un altro aspetto su cui si stanno concentrando gli investigatori, riguarda
la vera natura di quelle cifre detenute all’estero. Possibile che un medico e
una dentista negli anni ottanta avessero tanti soldi in Svizzera? E che bisogno
c’era di utilizzare strumenti come i trust alle Bahamas per schermarli? Il
sospetto è che possa trattarsi, almeno in parte, di soldi dello stesso Fontana.
Un passaggio delicato, perché in caso il denaro avesse altre provenienze
andrebbe a confliggere con quanto dichiarato nella voluntary del 2015 che ha
come causale «eredità». Il riscontro di una dichiarazione mendace
configurerebbe un reato molto grave, il falso in voluntary. Un’ipotesi tutta da
dimostrare con riscontri investigativi per gli inquirenti, ma su cui il
governatore potrebbe sgombrare il campo da subito: sono soltanto soldi dei
genitori quelli? O nel tempo se ne sono aggiunti altri, appartenenti a
qualcun’altro? E lo stesso Fontana ha mai avuto un conto in Svizzera prima del
1997 o ai tempi del primo trust, quando era sindaco di Induno Olona da due
anni?
I movimenti
Le risposte di Fontana sono vaghe e spesso contraddittorie quando si
riferisce alla sua situazione patrimoniale. Ad esempio, nell’intervista
pubblicata ieri da Repubblica, quando parla del conto dei genitori, dice: «Era
un conto non operativo da decine di anni, penso almeno dalla metà degli anni
Ottanta». Affermazione contraddetta da quanto emerso dalla voluntary: da quei
documenti risulta una serie di movimenti registrati tra il 2009 e il 2013.
Prova che il conto è stato attivo, movimentando centinaia di migliaia di euro,
e in un lasso di tempo in cui la madre del governatore aveva tra gli 86 e i 90
anni. Le cifre le ha anticipate la newsletter di Domani: nel 2010 sul conto
svizzero arrivano 129 mila euro, l’anno dopo ne escono circa 500 mila. Nel 2012
ne arrivano 442 mila e nel 2013 altri 200 mila. Un conto tutt’altro che
dormiente, quindi.
Le date della
fornitura
Altre incongruenze emergono poi sul fronte della ormai famosa fornitura di
camici mai portata a termine. In questo caso riguardano le dichiarazioni di
Raffaele Cattaneo (assessore della giunta) e Filippo Bongiovanni (ex numero uno
di Aria) rese davanti ai magistrati. Fontana ha detto lunedì in consiglio
Regionale di non aver saputo dell’affidamento oneroso della fornitura prima del
12 maggio. Smentito da Bongiovanni (che ha informato la segreteria dal 10
maggio) e anche da Cattaneo che ai pm ha detto di aver informato Fontana da
subito. Lo stesso governatore ha detto di aver saputo dall’inizio della disponibilità
di Dama a dare un mano, così come detto per altre quattro aziende: ma perché
allora avrebbe dovuto presumere che si trattasse di una donazione nel caso
della società del cognato se per le altre era pacifico che fossero forniture
onerose?
I camici mancanti
Infine l’aspetto più spinoso che riguarda direttamente il reato per cui
Fontana è indagato, ovvero la frode nelle pubbliche forniture legata alla
mancata consegna dell’ultima tranche di dispositivi. Bongiovanni ha detto ai pm
di non aver chiesto che la fornitura, bloccata dopo la consegna di 50 mila
camici, venisse portata a termine. Avrebbe spiegato che non ne avevano più
bisogno. Nessuno — in Aria come in Regione — ha pensato di far comunque
consegnare i 25 mila camici rimanenti, nonostante in quel periodo il bisogno di
dispositivi di protezione per gli ospedali fosse cogente. Perché rinunciare?
Forse per consentire a Dini di rivenderli e di ridurre l’impatto economico
dovuto alla necessità di stornare le fatture per non intaccare l’immagine di
Fontana? Anche per questo il nucleo valutario della Guardia di Finanza ieri
sera ha sequestrato i camici rimanenti trovati nei magazzini della Dama.
Nessun commento:
Posta un commento