Monumento ai caduti
di Marco Travaglio
Quando, 23 mesi fa, crollò il Ponte Morandi seppellendo 43 morti, Autostrade era figlia di NN. Per i giornaloni, i colpevoli del crollo non erano i concessionari Benetton che lucravano da 19 anni su un bene pubblico con l’impegno di manutenerlo e invece l’avevano mandato a ramengo. Ma i 5Stelle e gli ambientalisti anti-Gronda: il faraonico passante autostradale da 5 miliardi di euro che, anche se fosse stato realizzato in tempo utile (10 anni di cantieri), si sarebbe aggiunto al viadotto pericolante senza sostituirlo e comunque era stato bloccato dall’inettitudine di chi aveva governato Genova, la Liguria e l’Italia (centrodestra e centrosinistra). Ai funerali, il premier Conte e i suoi vice Di Maio e Salvini, acclamati dalla folla, promisero che mai più i Benetton avrebbero gestito Autostrade. E lì i giornaloni tutti, seduti su montagne di milioni regalati dai Benetton in forma di pubblicità (maglioni, bimbi e pecore multicolor), sponsorizzazioni (le feste Rep Idee e le guide turistiche di Repubblica) e gettoni di presenza (nel board Atlantia sedevano Cassese, giurista del Corriere&C, e la Mondardini, amministratore di Repubblica), iniziarono a nominare i Benetton. Ma per difenderli. Cantavano tutti la stessa canzone alla Squallor, scritta direttamente a Ponzano Veneto: nessuno è colpevole fino a sentenza definitiva, fino alla Cassazione non si può dire se la colpa è dei manager Benetton o del destino cinico e baro, chissà mai chi è stato.
Nel giro di una settimana Repubblica, Corriere, Stampa, Messaggero e Giornale riuscirono a scrivere che chiunque incolpasse Atlantia per le colpe di Atlantia era affetto dalle seguenti patologie: populismo, giustizialismo, moralismo, giustizia sommaria, punizione cieca, voglia di ghigliottina, ansia da Piazzale Loreto, sciacallaggio, speculazione, ansia vendicativa, barbarie umana e giuridica, cultura anti-impresa che dice no a tutto, pericolosa deriva autoritaria, ossessione del capro espiatorio, esplosione emotiva, punizione cieca, pressappochismo, improvvisazione, avventurismo, collettivismo, socialismo reale, aggiotaggio, decrescita, oscurantismo. Francesco Merlo intervistò su Repubblica il capofamiglia Luciano, quello coi capelli turchini, definendolo “imprenditore di sinistra” (nelle foto di famiglia sta sempre da quella parte). Prima domanda, e ho detto tutto: “È vero che il crollo del Ponte Morandi con i suoi 43 morti ha ferito lei e ha ucciso suo fratello?”. Mancò poco che chiedesse ai parenti dei 43 morti di pagargli i danni. Intanto Salvini, a cui forse qualche vecchio leghista aveva rinfrescato la memoria, diventò il miglior alleato dei Benetton.
E rovesciò il Conte 1. Così, per l’alternanza all’italiana, toccò al Pd difendere gli United Colors. Ai Trasporti andò Paola De Micheli che, coi suoi modi ruspanti da cassiera di drogheria e la cultura consociativa da ex-Pci Vecchia Romagna, riprese a inciuciare. I giornaloni intanto pubblicavano sempre lo stesso pezzo dettato da Ponzano Veneto: finirà a tarallucci e vino, Conte rinvierà alle calende greche e il M5S ingoierà anche quel rospo. Ancora il 5 luglio quel genio di Claudio Tito sparava su Repubblica: “Il governo spera nella Consulta per lasciare la concessione ad Aspi”. Come sempre, era vero il contrario: Conte sperava nella Consulta per levare la concessione ad Aspi o levare i Benetton da Aspi. L’ha annunciato lunedì al Fatto e martedì notte in Cdm l’ha fatto. Ora si contano i caduti. De Benedetti, due giorni fa, con tempismo pari alla perspicacia, definiva Conte “una nullità” proprio per Autostrade. E tutti i giornaloni, ancora ieri, non riuscivano a immaginare un governo che caccia a pedate un potere forte anziché chinarsi a 90 gradi. Repubblica: “Conte lavora a un patto coi Benetton”. Sì, ciao, buonanotte. Il Foglio: “Su Aspi l’unica strada è il rinvio”. Certo, come no. Giornale: “Governo bloccato. Cdm rinviato. La linea dura vacilla. Revoca suicida, pagheremo 17 miliardi”. Le pazze risate.
Corriere, Repubblica, Stampa e Verità sparavano la lettera “riservata personale” della De Micheli a Conte del 13 marzo, fatta uscire per salvare in extremis i Benetton e tornata alla mittente come un boomerang: doveva screditare Conte per aver ignorato per 4 mesi una ghiotta transazione, invece ha screditato la ministra per non aver capito (o aver capito fin troppo bene) la boiata che era. Una patacca che, per la Verità, “sbugiarda Conte”. E, per Paolo Baroni de La Stampa, dimostra i “quattro mesi persi” dal premier, che “in tutto questo tempo ha dormito” perché “il 13 marzo era la giornata mondiale del sonno”: questo frescone dimentica che il 13 marzo il premier aveva appena chiuso l’Italia e si occupava full time di Covid (250 morti e 2.547 contagiati solo quel giorno), ma trovò il tempo con Gualtieri di respingere l’ennesimo accordo-trappola caldeggiato da madama. Ma il Premio Nostradamus va a Stefano Folli, l’oracolo di Repubblica, che martedì sera è andato a nanna giulivo dopo aver consegnato il quotidiano De Profundis per il governo: “Una stagione al tramonto”, “Autostrade può essere l’incidente su cui il governo inciampa”, “una stagione politica si sta concludendo”, “l’esaurimento del Conte2 è sotto gli occhi di chiunque voglia vedere”, “la decadenza di una formula politica”, “l’agonia”. Poi ieri, forse, si è svegliato. Una prece.
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