L’amaca
Il rifugio segreto
di Michele Serra
Uno dei misteri dei nostri anni è la frequenza con la quale malfattori di ogni ordine e grado lasciano prove delle proprie imprese, filmando e fotografando ciò che può costare la galera come se un impulso irresistibile cancellasse ogni scrupolo di prudenza in favore della gioia insopprimibile di alimentare il loro show.
Anche i carabinieri di Piacenza hanno fatto lo stesso fatale errore, confezionando selfie con ventagli di banconote che facevano corona alle loro facce ridenti. Prima di loro fior di bulli hanno immortalato il loro bullismo, stupratori i loro stupri, torturatori le loro torture, ultras i loro pestaggi, pirati della strada le loro imprese a 200 all’ora, eccetera.
Forse è una nemesi. Chi di narcisismo ferisce, di narcisismo perisce. Nell’ossessione di mostrarsi alla fine ci si mostra per davvero, e ci si mostra tutti interi, irrimediabilmente, senza che una regia sorvegli, un pudore soccorra, una madre o un padre dica: per carità, non farlo. Tutto è in mostra: il ghigno ottuso, l’ossessione dei soldi, il piacere della violenza, la vanità patetica, infine l’incoscienza beota con la quale ci si offre alla presunta ammirazione del mondo senza pensare che il mondo non sempre è obbligato ad ammirarci. Non solo i criminali, che sono pochi, anche gli imbecilli, che sono un oceano, intasano i social di cose che aggravano la loro posizione.
C’è un rifugio fin qui ovvio, aperto a tutti, assolutamente gratuito, che minaccia di diventare un posto segreto, per pochi privilegiati. È l’assenza. Salverebbe tante reputazioni, forse intere vite.
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