martedì 09/07/2019
Ecoballe
di Marco Travaglio
Tale è la voluttà di gettare tutte le croci addosso a Virginia Raggi, anche quelle destinate ad altri, che ormai politici (anche dei 5 Stelle) e giornali negano persino l’evidenza. E cioè che lo smaltimento dei rifiuti della Capitale, come di tutte le città d’Italia, è competenza esclusiva della Regione. In questo caso, del Lazio governato da Nicola Zingaretti. E il principale problema dei rifiuti romani non è la raccolta, che in tempi normali faticosamente regge, nei limiti di una metropoli con quelle dimensioni, quei bilanci disastrati e quell’impatto turistico: ma è lo smaltimento. Per un motivo molto semplice: nel 2013, pressati da indagini giudiziarie, proteste popolari e una procedura d’infrazione Ue, il sindaco Ignazio Marino e il neogovernatore Nicola Zingaretti chiusero la fetentissima e inquinantissima discarica di Malagrotta, la più grande d’Europa (240 ettari), di proprietà del “re della monnezza” Manlio Cerroni: e fecero bene. Ma purtroppo si scordarono di decidere il sito alternativo con cui sostituirla per smaltirvi i rifiuti: e fecero male. Malissimo. Tant’è che Roma, a sei anni di distanza, paga ancora quella scelta (anzi non scelta) sciagurata: perchè non sa dove smaltire i suoi rifiuti. In questi sette anni le due giunte Zingaretti hanno accuratamente evitato di decidere il luogo della nuova discarica, per paura di scontrarsi con le popolazioni e le giunte dei comuni e prescelti (perlopiù targate Pd).
Quindi se oggi, come sempre fin dai tempi di Marino, a ogni guasto, o incendio, o manutenzione di uno dei quattro impianti di Tmb che reggono a stento il trattamento dei rifiuti capitali, la città va in emergenza e i rifiuti si accumulano per le strade, il colpevole è uno solo: la giunta regionale Zingaretti. La Raggi ha altre colpe, anche in tema di rifiuti: aver cambiato tre assessori in tre anni (l’ottima Muraro, la troppo ideologica Montanari e ora se stessa) e tre amministratori dell’Ama (che finora, con 1 miliardo di buco, una flotta di mezzi utilizzabili solo al 55% e tassi di assenteismo da quarto mondo, non hanno saputo mettere ordine nella municipalizzata). Ma sullo smaltimento nulla poteva né può fare, perchè non è nelle sue competenze. Infatti da tre anni chiede un nuovo Piano rifiuti alla Regione. Invano. E dire che la giunta Zingaretti è stata messa due volte in mora da altrettante sentenze del Tar, nel 2016 e nel 2018, che le ordinano di “individuare la rete integrata ed adeguata di impianti di smaltimento rifiuti in ambito regionale” perchè “crearla spetta alla Regione e non allo Stato”, e minacciano in caso di inerzia l’arrivo di “un Commissario ad acta” nominato dal prefetto.
Niente da fare: tutto fermo. Il che rende ridicolo leggere che “la Regione commissaria la sindaca”: l’unico ente che, sentenze alla mano, andrebbe commissariato è la Regione. Invece, stando ai media, pare che il problema sia che la Raggi ha fatto una gaffe in un video sui social: quello in cui dimostra che una delle aziende millantate dalla Regione come pronte ad aumentare la raccolta della monnezza romana, la Rida di Aprilia, era chiusa. Risposta della Regione: hai sbagliato azienda, quella non è la Rida. Invece è proprio la Rida, ripresa dal retro, visto che dall’ingresso principale la sindaca non l’han fatta entrare. Da tre giorni siti e giornaloni ripetono a fotocopia la fake news della “gaffe della sindaca che sbaglia ditta”. Non sbaglia ditta e comunque non è certo quello il guaio di Roma. Che dipende da ben altri fattori, raccontati per filo e per segno da Vincenzo Bisbiglia sul nostro sito.
Il ciclo dei rifiuti prevede tre fasi: raccolta (fase 1); trattamento (fase 2), con eventuale “trasbordo” provvisorio, cioè parcheggio in caso di difficoltà o ritardi del passaggio successivo) (fase 2-bis); e smaltimento (fase 3). La 1 spetta al Comune (cioè all’Ama). La 2 spetta alle società autorizzate dal Piano rifiuti regionale (in una mappa di “aree bianche” indicate da province o città metropolitane): i quattro impianti Tmb (trattamento meccanico biologico: due di Colari, l’ex gruppo di Cerroni ora commissariato dal tribunale, e due di Ama), che basterebbero a stento se fossero sempre tutti a pieno regime, invece sono troppo vecchi per non andare ogni tanto in tilt (al netto degl’incendi dolosi). La 3 spetta agli impianti decisi dalla Regione: discariche e inceneritori. E proprio la 3 manca a Roma: dalla fine di Malagrotta, il ciclo dei rifiuti non si chiude. Discariche e inceneritori del Lazio sono troppo piccoli per smaltire le 4700 tonnellate di immondizia prodotte ogni giorno dai romani. Servirebbe un nuovo Piano Rifiuti della Regione, che invece è ferma a quello del 2012 della Polverini, pre-chiusura di Malagrotta. Da allora la Regione s’è limitata ad aggiornarlo per redistribuire parte dei rifiuti romani in impianti già esistenti fuori Roma: nel Lazio, in altre regioni (Abruzzo, Veneto, Puglia, Emilia Romagna, Lombardia) e in altri Stati (Austria, Germania e Portogallo). Tutti accordi regionali costosissimi per la città: 50 milioni l’anno, pagati dai romani con la tassa rifiuti più alta d’Italia. Nel 2017 ha pure chiuso l’inceneritore di Colleferro. Intanto la differenziata, avviata da Alemanno e incrementata da Marino e Raggi, è arrivata al 45%: si può fare meglio (la sindaca ha annunciato nel 2017 un piano per portarla al 70% nel 2021: auguri), ma è già un discreto traguardo, che ha ridotto le tonnellate giornaliere da smaltire a 3mila. Ma il guaio non è la raccolta (fase 1): è il trattamento (fase 2) che spesso va in tilt, o per l’aumento dei rifiuti sotto Natale e a luglio, o per il blocco di uno o più Tmb (su quattro). E allora si tampona col trasbordo provvisorio (fase 2-bis), ma anche lì la Regione dorme: solo nel luglio 2018 ha autorizzato, fuori dai capannoni di Rocca Cencia e Salario, due aree scoperte dove appoggiare i rifiuti in attesa di trattarli. In ogni caso, manca da sei anni lo smaltimento in loco (fase 3).
Nel 2018 la situazione precipita. Un incendio doloso devasta a marzo il Tmb di Rocca Cencia e un altro, a dicembre, distrugge completamente il Tmb di Salario. I cittadini esasperati bloccano anche i trasbordi all’aperto. Così, oltre alla 3, saltano anche le fasi 2 e 2-bis. La Raggi bandisce appalti per il trattamento, ma le gare vanno regolarmente deserte (l’Antitrust indaga su possibili cartelli fra operatori, interessati ad aggravare l’emergenza per tornare ai vecchi affidamenti diretti, aumma aumma). Chiede aiuto ad altre Regioni, che spesso rispondono picche. Si appella a Zingaretti perchè vari finalmente il Piano rifiuti, per cui a gennaio 2019 la Città Metropolitana ha consegnato alla Regione la lista delle “aree bianche” dei nuovi impianti. Invano. In vista del mese critico di luglio, tenta una proroga delle aree di trasbordo a Ponte Malnome e Saxa Rubra, ma gli abitanti si ribellano. Intanto, dei tre Tmb rimasti, i due di Colari annunciano in contemporanea un programma di manutenzione da giugno a settembre, col taglio della capienza giornaliera da 1250 tonnellate a 500. E il 31 luglio scadrà pure l’accordo Lazio-Abruzzo per il trasloco di parte dell’indifferenziato romano.
É la tempesta perfetta. Il collo di bottiglia che sta strozzando la Capitale. Scrive Bisbiglia: “Dopo Pasqua le strade si riempiono di sacchetti, Ama raccoglie (con le sue difficoltà), ma non sa dove portare l’immondizia, la differenziata va in tilt fra i cittadini scoraggiati e i lavoratori sotto pressione”. L’ennesima, prevedibilissima emergenza esplode col caldo e le puzze. Ma la giunta Zingaretti partorisce l’ennesimo topolino: un’ordinanza che ordina al Comune di acquistare subito 300 nuovi cassonetti (la città ne ha 52mila), non stanzia un euro e non decide nuovi impianti. Promette solo l’uso a pieno regime di quelli del Lazio, ma questa parte è scritta coi piedi (la ditta Rida, letta la prima versione, annuncia che non prenderà un grammo in più di monnezza e cambia idea solo dopo un’aggiunta posticcia: a proposito di “gaffe”). Qualcuno ciancia di nuovi inceneritori, come se non occorressero 7-8 anni per farne uno (e allora si spera che la differenziata in più lo renderà inutile). O di una nuova discarica (a Pian dell’Olmo o altrove), che però andrebbe varata. Da chi? Dalla Regione. Fra una grida manzoniana e l’altra, Zingaretti invita la Raggi a “vergognarsi”. E lui quando si vergogna?
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