La cancel culture che ci vorrebbe
DI MICHELE SERRA
“Gli Usa non hanno l’esclusiva dei problemi mentali, statisticamente simili a quelli di tutti gli altri paesi comparabili del mondo. La differenza è che negli Stati Uniti le armi sono a portata di mano di chiunque, e chi vuole usarle riesce a farlo troppo facilmente. La verità evidente è questa, ma il Paese non riesce ad affrontarla per una malintesa interpretazione del Secondo emendamento della Costituzione, che garantisce il diritto di avere fucili e pistole; per gli interessi della lobby dei produttori; e per i politici soprattutto repubblicani che ci speculano sopra. Perciò il problema non viene risolto e centinaia di innocenti continuano a morire”.
Questa è la conclusione della più recente cronaca del corrispondente di Repubblica da New York, Paolo Mastrolilli. La riporto nella sua implacabile oggettività — non è un’opinione, è una sintesi dei fatti — perché non saprei scrivere di meglio, ovvero senza farmi influenzare dal mio disgusto, quasi fisico, per le armi. Mastrolilli racconta l’ennesima strage di passanti, attuata nel Maine da un istruttore di armi uscito di testa: diciotto morti, il corrispettivo di un’azione di guerra. Si aggiungono alle decine di migliaia di vittime degli ultimi anni: ne sono morti di più per le strade di America, crivellati dalle pallottole di mentecatti e maniaci di svariata estrazione (quasi sempre maschi bianchi) che nella guerra del Vietnam.
Alle parole di Mastrolilli mi sento di aggiungere solo questo: i “politici che ci speculano sopra” sono, con tutta evidenza, i veri mandanti della strage. La sola vera e opportuna cancel culture che l’America non è capace di mettere in campo è quella contro la sua mania suicida per le armi. È più facile abbattere una statua che bloccare un grilletto.
Nessun commento:
Posta un commento