La regola del cretino. Basta poco per diventare un nemico inesistente
di Alessandro Robecchi
Se prendi un cretino che dice una cosa sensata, l’effetto è assicurato: non è che il cretino sembrerà di colpo intelligente, è più facile che la cosa sensata sembri cretina anche lei.
Il metodo è diventato una regola che si può comodamente osservare, applicata con qualche variante, nelle più disparate faccende del mondo, e pare che qui, in Italia, venga utilizzata con una certa pervicace costanza. L’esempio più attuale – e tragico – ci viene dalle questioni palestinesi: non c’è giorno che non si leggano sui giornali della destra (e non solo della destra) strali feroci sui “sostenitori di Hamas”, che abiterebbero notoriamente a sinistra. Uno si aspetta che davvero, là fuori, ci siano voci che inneggiano ai tagliagole, che approvino l’uccisione di civili e bambini. Invece no, non risulta.
Leggendo i giornali (molti giornali) e guardando la tivù (molta tivù), ma anche chiacchierando al bar, o con i colleghi, o con chiunque altro, non ho letto né sentito nessuno sano di mente dire che Hamas “ha fatto bene”. Il trucco, nemmeno nascosto, è dunque quello di attribuire a chi non si allinea con una voce univoca (nel caso specifico quella della rappresaglia, della vendetta, della reazione totale, dello “spianare” Gaza, del sangue contro sangue) una posizione indicibile, che infatti nessuno dice, a parte qualche squinternato scovato con il lanternino in pieghe molto nascoste e irrilevanti della società. Chi dubita della reazione israeliana in atto in Palestina, insomma, corre il rischio di essere automaticamente arruolato nelle file del terrorismo più odioso.
Potremmo chiamarlo uno schema, una dinamica della dialettica della contrapposizione, che ha avuto la sua prova generale, il suo battesimo di fuoco, nella stagione del Covid. Un’emergenza vera, una paura palpabile, che produsse un pensiero unico: guai a contestare la tecnica del lockdown, per esempio, guai ad avanzare perplessità sul green pass: chi osava farlo, o anche solo chi problematizzava un po’ la questione, passava immediatamente per un picchiatello che teme il 5g iniettato nel sangue, un medievale terrapiattista, additato al pubblico ludibrio, irriso, emarginato dal discorso pubblico. Fino al paradosso che quando criticavano il lasciapassare per lavorare, persino i trivaccinati venivano accomunati agli ultras no-vax. Che è come quando si accusa Moni Ovadia di stare con Hamas: una scemenza di portata planetaria.
Lo schema si riprodusse dopo l’invasione russa dell’Ucraina: l’accusa di putinismo o filo putinismo per chiunque non si allineasse alla guerra a oltranza, per cui si arruolava sotto le bandiere del Cremlino anche chi chiedeva un semplice cessate il fuoco, o trattative, o un qualche anche generico sbocco di umanità che mettesse fine a una mattanza spaventosa. Una molla generatrice di questo schema (se non stai con me stai con Hamas, stai con Putin, sei antiscientifico e terrapiattista) è l’emotività dei media. Un po’ si può capirla, perché la prima cosa che pensi quando uno ti tampona con la macchina è: ora scendo e gli spacco la faccia. Nella vita reale dura un minuto e poi passa, per fortuna, ma pare che invece nella formazione-manipolazione dell’opinione pubblica duri più a lungo, venga reiterata e rilanciata. Poi, con il tempo, gli angoli si smussano, piano piano, con calma, cercando di far dimenticare le scemenze estremiste teorizzate per mesi. Colpo di scena: puoi volere che si smetta di morire in Ucraina senza essere Putin, e puoi volere uno Stato palestinese senza essere Hamas, anzi provandone orrore.
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