La libertà come fisima
di Michele Serra
Nessuno ha il copyright della libertà. Ne discutono da secoli i filosofi e la pronunciano con intenzioni assai diverse le ideologie. Libertà dal bisogno, libertà sessuale, libertà d’espressione, libertà di fede, libertà di apostasia, libertà di spostamento, di autodeterminazione, di scelta, perfino libertà di sbagliare. Diciamo che ogni persona con un briciolo di senno ne parla con rispetto, senza la presunzione di possederla: la libertà, in questo senso, è un poco come l’amore, una faticosissima approssimazione, un tentativo, un esperimento in corso.
Proprio per questo mette tristezza, e anche indigna, l’uso al tempo stesso protervo e puerile che di quel termine fanno i cortei No Vax di queste settimane. Già la schifosa pantomima che apparentava la Shoah alle misure sanitarie in atto ha disgustato milioni di persone. Ma l’uso illegittimo di quella parola è proprio il nocciolo di quel movimento. Non sono “gli estremisti”, la macchia di quei cortei.
La macchia di quei cortei è l’appropriazione indebita della libertà, ridotta a bandierina che ognuno può sventolare senza conoscerne il prezzo, il peso, la fatica.
Viene il sospetto che una società satolla, ipertutelata, che nella sua stragrande maggioranza non conosce più fame, schiavitù, gelo, tirannide, deportazione, ha fiato da sprecare sulla «dittatura sanitaria», e tempo da perdere per costruirsi il fantasma di un nemico inesistente. Ma la libertà, povera martire di tutte le prepotenze e di tutte le ignoranze, che cosa c’entra con queste fisime? Può gridare al liberticidio un profugo inchiodato al confine tra Polonia e Bielorussia, che non può avanzare né arretrare. Non chi ha il culo al caldo, e la sanità gratis.
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