martedì 15 luglio 2014

In memoria


Brutto, molto brutto. 
Vieni a sapere che è morto un tuo cugino, di primo grado che ha la tua stessa età e che non vedevi più da quarant'anni. 

Qui non si tratta di strade che si separano. 
Qui è trascurare i sentimenti, i rapporti, le occasioni per cercarsi. 
E parlo per me. 
Mi sento una merda, per come ho lasciato trascorrere il tempo senza cercarlo, senza vederlo. 
Nasci e fai parte di una discendenza, derivi da un sangue che ramificato moltiplica occhi, coscienze, sorrisi, lacrime. Giochi assieme, sentendoti parte di un quadro, annusi che qualcuno ci sarà sempre, che la difesa, l'attacco, le tavolate non saranno mai desertiche, perché così Madama Esistenza preordina, concepisce. 

Poi arrivano dissapori familiari, distanze incolmabili sulla crosta, ti perdi, smetti di considerare una parte di te, in quanto i rami sbattono nel vento dell'indifferenza, della ragione sempre dalla parte di chi si sente nel vero e sai che non è così perché la verità che libera è una ed una sola e due entità non possono possederla contemporaneamente. 

Perdi la voglia di fare il primo passo, di comporre un numero, di metterti al volante assieme al fatto che ti sei prefabbricato a prova certa dell'impossibilità ad incontrarlo, ossia il non sapere dove recarti, che è palese menzogna sbugiardata dalla tecnologia che ti può oramai tranquillamente indirizzare in un vicolo cieco di un paesino di trenta anime, senza problemi.
Indifferenza. 
Si chiama così il male del secolo che m'avviluppa silente, che non esiste sino a quando l'ultimo viaggio non scuote il ramo rinsecchito. 
Indifferenza, noncuranza, leggerezza, pigrizia, mefitica scorza di becero individualismo. 
Sentimenti che si risvegliano ora che un'esistenza è ricordo, ora che ti rivedrò in foto senza riconoscerti, senza poter raffrontare la levigatura del tempo con l'immagine stipata in qualche mio neurone, perché impossibilitato dall'enorme tempo trascorso senza averla rinfocolata attraverso un saluto, una bicchierata, un augurio, una pacca sulle spalle, la memoria del tuo ramo, che assieme al mio compone lo stesso albero, si nutre allo stesso ruscello, è accarezzato dallo stesso scirocco.
Uso ancora il presente, parlandoti, perchè faccio fatica ad entrare nel ricordo, non tanto perché hai oltrepassato il confine, non tanto perché ora conoscerai il Tutto; solo perché essendo difficile realizzare di aver coabitato con te su questa landa, per la negligenza già narrata, trovo strano soffrire per la tua dipartita, per la potatura anticipata del ramo dell'albero comune. 
Questo è vero dolore, che accetto e mi porteró lungo il cammino ancora da compiere. 
Questo é il dispiacere che apre al pentimento, all'ammissione di colpa, alla voglia di chiederti perdono.
Hai raggiunto tuo padre, anch'egli poco assaporato in vita, semplice ed errante come tutti. 
Riabbraccialo, fai pace con lui, comprendine il modo con cui ti amava, ci amava. 

Non avrei mai pensato di doverti augurare la soavità della terra!
Scusami tanto ancora e sappi che, meschinamente, ora che il tempo è finito, ora che l'occasione é piombata per sempre, i ricordi non si rinfocoleranno mai più, ora, proprio ora inizio a volerti bene, come ad un cugino.
Nella normalità che non c'è più.
Nel vento immoto.
Riposa in pace, Giordano!
Così sia!  

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