La banalità e il male
di MICHELE SERRA
Una giovane donna viene sbranata da un branco di cani. Prima che arrivi — già morta — in ospedale, qualcuno le scattadelle fotografie (atroci, possiamo immaginare) e le condivide. Finiscono in rete. Poiché non credo nei mostri, immagino che questo qualcuno, se interrogato nel merito, non avrebbe la forza, né la convinzione, né gli argomenti per rivendicare la sua azione.
Sarebbe spaventato o imbarazzato o entrambe le cose — specie se a chiedergli conto del suo comportamento fosse chi gli rinfaccia un possibile reato.
Perché dunque lo ha fatto? Ipotesi: perché è malato. Ha contratto un virus pandemico che contagia centinaia di milioni di persone nel mondo, e le spinge a pubblicare in rete qualunque cosa. Dalla più innocente e inutile (ecco qui la pizza con i capperi che sto mangiando con mio cugino Ettore) alla più infame (guardate a che bel pestaggio dieci contro uno ho assistito ieri sera!). Nel momento stesso in cui la tecnologia ha reso ciascuno di noi editore, allora tutto, indiscriminatamente, è pubblicabile. La lunga sequenza di filtri, di priorità, di leggi, di inibizioni culturali che hanno regolato la comunicazione tra umani, giuste o sbagliate che fossero, è saltata. Il potere di pubblicare qualunque ma proprio qualunque cosa è, appunto, un potere. Alla portata di tutti: basta un clic.
Ma nessun potere, tranne le più esplicite tirannie, ha mai pensato di poter agire in totale assenza di regole. È il momento di domandarsi quando e come l’editoria puntiforme universale che conferisce a ogni singolo individuo il potere di pubblicare la banalità (la pizza con il cugino Ettore) e il male (un corpo sbranato dai cani) con la stessa spensieratezza, riuscirà a darsi regole.
Oppure se è troppo tardi anche solo per sperarlo. Va ricordato comunque che la libertà, senza regole, non esiste: è solo arbitrio e sopraffazione.
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