Ballo in Musk
di Marco Travaglio.
Bene ha fatto Mattarella a zittire Musk dopo il tweet contro i giudici italiani. E a zittirlo ieri, dopo la sua nomina nell’Amministrazione Trump, che ha trasformato lui da privato cittadino in un politico e il suo post sgangherato su X in un’intromissione indebita negli affari interni di un altro Paese, per giunta alleato. La stessa frase – “L’Italia sa badare a se stessa” – Mattarella l’aveva rivolta il 7 ottobre 2022, dopo le elezioni italiane, alla ministra francese Laurence Boone, che aveva promesso di “vigilare sulla Meloni come l’Ue ha già fatto in Polonia e Ungheria”. Purtroppo si era scordato di farlo nel luglio ’22, quando i governi europei, americano, ucraino e la Commissione Ue avevano ingerito pesantemente nei fatti nostri intimando al Parlamento di votare la fiducia all’amato (da loro) Draghi. Il quale peraltro il 20 luglio andò in Senato ad attaccare M5S, Lega e FI per farsi sfiduciare. E raggiunse lo scopo. Poi, fino alle elezioni del 25 settembre, ripartì la rumba delle ingerenze euro-atlantiche per ordinare agli elettori di non votare i non guerrafondai, cioè 5Stelle e Lega, bollati di “populismo” e “putinismo”: dalla Clinton al vice di Scholz, da Blinken alla Von der Leyen (“Se l’Italia andasse in una direzione difficile, abbiamo gli strumenti per intervenire come verso Polonia e Ungheria”) a Zelensky (“Non votate gli amici di Putin”). E anche allora Mattarella si distrasse un po’. Poi si rifece con la ministra macroniana e ora col genietto trumpiano: non si minacciano i governi di un Paese alleato e non se ne attaccano i giudici. Non per sovranismo, ma per galateo istituzionale.
La questione però è molto più vasta e scivolosa. Già l’altroieri, quando Musk era ancora un privato cittadino, le opposizioni italiane erano insorte invitando la Meloni a zittire l’amico Elon e a difendere i nostri giudici. Ma si erano scordate di aver difeso per anni un altro miliardario, George Soros, dall’accusa delle destre di impicciarsi nelle politiche finanziarie e migratorie di mezza Europa. E soprattutto si erano dimenticate di avere a loro volta attaccato (e giustamente) i giudici di un altro Paese alleato, l’Ungheria, per il processo e il trattamento brutale a Ilaria Salis e poi di averla candidata al Parlamento europeo per sottrarla al giudizio con l’immunità. Allora, a insorgere contro quella doppia intromissione nella giustizia di uno Stato europeo, furono il premier Orbán e i suoi amici della destra italiana: gli stessi che ora difendono l’ingerenza di Musk da chi oggi la condanna, ma dieci mesi orsono faceva altrettanto con Budapest. Siccome il galateo istituzionale è uno solo e non può cambiare a seconda di chi c’è in ballo, è il forse caso di decidere una volta per tutte che cosa si può e non si può dire o fare. E poi rispettarlo. Tutti.
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