Trump, le risposte di padre in figlio
DI MICHELE SERRA
Uno dei figli di Trump, tale Donald jr, ha postato, sotto una foto di Zelensky, questa frase: “Tra 38 giorni perderai la tua paghetta”. Difficile immaginare un pensiero più volgare e più piccino di fronte a quella che, comunque la si pensi, è una guerra. Il sito “repubblicani contro Trump” (speriamo che esista un dio dei giusti che li assista) definisce “disgustoso” l’episodio, e chissà se anche a loro, che sono quanto rimane della destra americana lealista (nel senso di: leale a regole e linguaggio della democrazia), toccherà il bollo diradical chic .
Nei giorni scorsi ho letto diverse reazioni indispettite (eufemismo) alle considerazioni desolate, comprese le mie, sul livello di cultura democratica di molti elettori di Trump. Queste considerazioni, ovviamente, non sono a prescindere. Non discendono dall’appartenenza a questa o quella fazione. Si fondano sul fatto, oggettivo, che l’assalto a Capitol Hill, che Trump aizzò come se fosse la giusta reazione a un furto elettorale, non ha avuto alcun peso nel recente voto. Lo avrebbe avuto se buona parte dell’elettorato di Trump avesse, nel merito degli assalti ai parlamenti, qualche scrupolo. Ma un numero consistente di elettori di Trump, secondo i sondaggi, ritiene che la vittoria di Biden fu rubata, visione clinicamente paranoica che fa impressione riscontrare in masse così estese di persone.
Ma se lo si scrive, la replica non è mai nel merito. Mai una volta. Cioè: non cercano di spiegarti perché sia lecito e salubre pensare che Biden sia stato eletto con i brogli. Ti dicono soltanto: tu disprezzi il popolo.
Ovvero: se uno rutta a tavola, e glielo fai notare, lo fai perché disprezzi il popolo (quale “popolo”, poi?) o perché sarebbe meglio non ruttare a tavola?
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