martedì 27 dicembre 2022

Onestà in pericolo

 

Giù le mani
di Marco Travaglio
Appena salta fuori qualche politico corrotto, salta su qualche partito con l’ideona di ripristinare il finanziamento pubblico. Infatti ora, in pieno scandalo Ue-Qatar, il Pd vuole raddoppiare i finanziamenti indiretti, assegnando ai partiti anche il 2 per mille delle tasse dei cittadini che non vogliono. E Articolo 1 vuole tornare ai finanziamenti diretti pre-2013. Lo slogan implicito è: “Così non rubiamo più”. Ma, a parte il fatto che rubare è proibito dal VII comandamento e dai codici penali di tutto il mondo dalla notte dei tempi, le euromazzette non finivano ai partiti. Bensì nelle tasche di singoli eurodeputati e portaborse. E soprattutto non c’è alcuna prova dell’equazione “più fondi pubblici, meno mazzette”. Anzi, c’è la prova del contrario: il finanziamento pubblico fu varato nel 1974 con lo scandalo petroli, quando i pretori genovesi Almerighi, Brusco e Sansa scoprirono che i partiti erano sul libro paga dell’Unione petrolifera, che ogni anno girava loro una percentuale sugli sconti fiscali votati in Parlamento. Da allora i miliardi statali non impedirono ai partiti di continuare a foraggiarsi illegalmente con tangenti da imprenditori in cambio di appalti pilotati e altre marchette; fondi neri di aziende di Stato gestite da loro manutengoli; dollari americani (alla Dc&alleati) e rubli sovietici (al Pci). Nel 1992, quando scoppiò Tangentopoli, i partiti ricevevano fondi pubblici legali (dal finanziamento statale) e illegali (da Iri, Eni, Enel, municipalizzate ecc); fondi privati legali (quelli registrati nei bilanci delle imprese e nel registro dei partiti in Parlamento) e illegali (tangenti e finanziamenti occulti). Perciò, al referendum del ’93, gli italiani votarono in massa per abolire il finanziamento pubblico.
Questo però, appena uscito dalla porta, rientrò dalla finestra travestito da “rimborsi elettorali”. Che, calcolati a forfait e senza ricevute, coprivano 4-5 volte le spese per le elezioni. E aumentavano di anno in anno con voti bipartisan, fino a diventare una tassa-monstre di 10 euro l’anno per ogni elettore (contro 1,1 del ’93). Nel 2009 la Corte dei conti rivelò che in 15 anni i partiti avevano prelevato 2,2 miliardi di euro dalle casse dello Stato. Nel 2013, per frenare l’avanzata dei 5Stelle, il governo Letta passò al finanziamento pubblico indiretto e volontario: chi vuol aiutare un partito gli devolve il 2xmille delle tasse. Soluzione ragionevole, che obbliga i partiti a curare il rapporto con gli elettori per meritarsi il loro sostegno: chi non ha elettori o se ne guadagna il disprezzo, peggio per lui. Tornare al vecchio magnamagna, oltreché vergognoso, sarebbe suicida. Lo slogan “Così non rubiamo più” verrebbe subito tradotto: “Siccome i nostri rubano, noi derubiamo gli italiani”.

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