mercoledì 05/02/2020
Il Codice Venale
di Marco Travaglio
Per dire com’è ridotta l’informazione, basta leggere i commenti dei principali quotidiani sulla blocca-prescrizione. Cioè su una legge dello Stato regolarmente approvata dalla maggioranza parlamentare e promulgata dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella oltre un anno fa, in vigore da 13 mesi e valevole per i processi relativi ai reati commessi dal 1° gennaio 2020. La circostanza appare ignota a chiunque la commenti: tutti blaterano di “compromessi”, “mediazioni”, “tavoli” e si domandano “chi cederà” fra 5Stelle e Italia Morta, chi “perderà la faccia tra Bonafede e Renzi” (come se Renzi, fra l’altro, avesse una faccia), “che farà Conte” e se reggerà la “tregua Zingaretti”. Ma di che vanno cianciando questi orecchianti? Ma lo vogliono capire o no che la blocca-prescrizione non è un’idea, una proposta, un progetto, un’intenzione, ma una legge vigente e funzionante? La vera questione è che FI, Lega, Iv e mezzo Pd vogliono cancellarla e, per farlo, devono approvare insieme in Parlamento una nuova legge: quella firmata dal forzista Enrico Costa, noto fabbricante seriale di leggi ad personam per Berlusconi. Se la voteranno, non esisterà più alcuna maggioranza giallorosa e alcun governo Conte e nascerà la coalizione dell’impunità contro un valore cruciale: quello della giustizia uguale per tutti.
Questa è la partita che si gioca in queste ore: tutte le disquisizioni sul garantismo, il giustizialismo, le manette, gli errori giudiziari, la ragionevole durata del processo, l’incostituzionalità, il derby avvocati-magistrati sono fumo negli occhi per distrarre e disorientare un’opinione pubblica che fortunatamente ne ha viste troppe, in vent’anni, per dimenticarsi la vergogna dei 120 mila processi prescritti all’anno e continua nei sondaggi a schierarsi dalla parte delle vittime, anziché da quella dei colpevoli impuniti. Se abolire la prescrizione fosse incostituzionale perché viola l’articolo 111 sulla ragionevole durata dei processi, come sostengono giuristi, avvocati e perfino magistrati di chiara fama e fame, la Consulta l’avrebbe già ripristinata nel processo civile, che dura un’eternità come il penale, ma la prescrizione non ce l’ha: e chi perde un processo civile può subire conseguenze ben più pesanti (risarcimenti anche milionari) di chi perde un processo penale (in media, qualche mese o anno di carcere, peraltro virtuale, cioè finto, visto che in Italia fino a 4 anni non si va in carcere). E se chi contesta la blocca-prescrizione fosse davvero interessato a una giustizia più rapida, proporrebbe qualche straccio di soluzione per abbreviare i tempi dei processi.
Avete mai sentito un Renzi o un Salvini o un forzista o un pidino proporre qualcosa di concreto per ridurre anche di un giorno i tempi processuali? Ci ha provato Davigo, in un’intervista al Fatto, ed è mancato poco che lo linciassero. Eppure quel che si deve fare per accorciare i processi lo sanno tutti: abolire un grado di giudizio o almeno inserire drastici disincentivi e sanzioni contro le impugnazioni pretestuose e infondate; abolire il divieto di reformatio in pejus che impedisce al giudice di appello di aggravare la pena del primo grado; e una serie di misure organizzative e di investimenti in nuovi magistrati e cancellieri previsti dal dl Bonafede sulla riforma del processo penale, pronto da quasi un anno, che non a caso la Lega prima e Pd&Iv oggi tengono bloccato, impedendo di velocizzare quei processi che a parole chiedono di velocizzare. Ma nessuno, a parte Bonafede, Davigo, Gratteri, Di Matteo, Scarpinato e pochi altri, propone nulla: e giustamente, perché, se lorsignori riotterranno la prescrizione in appello e in Cassazione, saranno tutti felici così. Poi ci sono i settori più oltranzisti dell’avvocatura, che non hanno alcuna intenzione di rinunciare ai processi eterni su cui campa la parte meno professionale e più parassitaria della categoria (se i processi durassero meno, quanti dei 180 mila avvocati italiani resterebbero disoccupati?). E ci sono pure dei magistrati, per fortuna minoritari, che non riescono proprio a immaginare il cambiamento radicale imposto dalla blocca-prescrizione. Anche fra loro ci sono sacche di resistenza al nuovo, che significherebbe lavorare di più (meno processi prescritti, più processi celebrati) e più onestamente, mentre la prescrizione è un ottimo rifugio per le toghe fannullone e anche per quelle colluse e corrotte (se ti lascio prescrivere il processo, tutte le carte sono a posto, non devo neppure assolvere un colpevole, e tu cosa mi dai in cambio?). Ma, siccome non potranno mai confessarlo, si rifugiano dietro la pretesa incostituzionalità della legge: peccato che, negli ultimi vent’anni, il loro sindacato – l’Anm – abbia ininterrottamente chiesto di bloccare la prescrizione al rinvio a giudizio o al massimo dopo il primo grado, e nessuno degli ermellini che ora ne scoprono l’illegittimità s’è mai alzato ad accusare i suoi rappresentanti di violare la Costituzione.
La verità, a questo punto, dovrebbe essere chiara a tutti: nessuno di quanti dicono di battersi contro la blocca-prescrizione vuole una giustizia più efficiente e più veloce. Vogliono tutti l’esatto contrario: riprendersi la prescrizione e mantenere la giustizia inefficiente e i processi eterni. Ben sapendo che gli unici processi che arrivano in fondo sono quelli per i reati di strada e gli unici imputati che finiscono in galera sono i poveracci. Perciò, da qualche anno, non invocano più amnistie o indulti: perché quelli poi liberano tutti, pure i delinquenti comuni, e gli elettori s’incazzano. Molto meglio la prescrizione, che libera soprattutto i signori, cioè i politici e i loro foraggiatori: un’amnistia razziale, censitaria e classista. Il Codice Venale: l’unica, vera, incostituzionale “barbarie”.
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