sabato 15 dicembre 2018

Questo sì che è un bel dire!


Parole sante, parole d’oro, effervescenti, fendenti, spade a due tagli, provvide, inoppugnabili e, soprattutto, fotografanti al meglio la grottesca situazione europea generata da un’immonda politica elitaria.

sabato 15/12/2018
Caro Moscovici, il gilet giallo non è una moda

di Veronica Gentili

Quando Pierre Moscovici, vestendo i panni un po’ lisi del commissario europeo agli Affari economici, annuncia che la sua Francia è autorizzata a sforare il tetto del 3 per cento nel rapporto deficit-Pil purché lo sforamento non si protragga per due anni consecutivi, non fa soltanto il partigiano del suo Paese in campagna elettorale dalla parte dei suoi vecchi amici. Compie anche un tragico errore. Non mi riferisco all’assist fornito al governo italiano per lamentare come la Commissione faccia figli e figliastri: a quello sta già pensando un’opinione pubblica inviperita nei confronti dei presunti favoritismi di un’istituzione traballante, confusa e incoerente, che non perde occasione per mostrarsi inadeguata.

Il principale inciampo sta proprio nella postilla con cui il commissario ha tentato di mettersi a riparo dalle accuse di parzialità sciovinista: “Se ci riferiamo alle regole, oltrepassare questo limite (del 3 per cento, ndr) può essere preso in considerazione in modo limitato, temporaneo, eccezionale”: nell’idea che quanto si sta verificando in Francia sia ascrivibile alla categoria degli eventi eccezionali risiede l’immagine della “rimozione” con cui buona parte della politica attuale si rapporta alle trasformazioni della società che la circonda. La rimozione “è un processo inconscio che consente di escludere dalla coscienza determinate rappresentazioni connesse a una pulsione il cui soddisfacimento sarebbe in contrasto con altre esigenze psichiche” (Umberto Galimberti, Nuovo dizionario di Psicologia): la pulsione che Moscovici e molti suoi sodali – consapevoli o meno: vedi alla voce Matteo Renzi, Emmanuel Macron, Hillary Clinton e buona parte dei leader democratici – “escludono dalla loro coscienza” è la consapevolezza del fallimento del capitalismo nelle sue ultime sembianze di globalizzazione e l’ammissione di aver creato disuguaglianze talmente marcate da non poter essere tamponate con bonus o misure una tantum. Credere che la protesta francese possa essere ridotta a un evento passeggero, risolvibile con qualche decimale di deficit in più nel 2019, nell’attesa che il sole del neoliberismo torni a scaldare l’Europa e che i gilet gialli lascino il posto alle camicie bianche di una nuova generazione di leader pseudo-riformisti che calchino le orme dei Renzi, dei Sanchez e dei Valls (chi era costui?), equivale a continuare a suonare l’orchestrina mentre il Titanic va a schiantarsi contro la punta dell’iceberg. Purtroppo però, per politici come Macron o Moscovici, le “altre esigenze psichiche” che li costringono a rimuovere l’inizio di una crisi permanente delle democrazie occidentali per come si sono strutturate negli ultimi decenni, hanno a che fare con la loro stessa sopravvivenza politica. Mentre nel discorso alla Nazione infuocata, Monsieur le Président può permettersi di mostrarsi pentito e di promettere dieci miliardi di misure di spesa sociale, contando anche sull’acquiescenza di istituzioni europee che versano in una situazione non troppo dissimile dalla sua, quello che non può permettersi di fare è negare i paradigmi che hanno contraddistinto la sua stessa esistenza politica e che potrebbero essere negati solo nell’incipit di un discorso di dimissioni.

È in questa ipocrisia della transitorietà, della circoscrizione del fenomeno a fase passeggera e prontamente risolvibile, che va ricercata la ragione dei favoritismi di Moscovici e degli altri commissari nei confronti della Francia di Macron rispetto all’Italia giallo-verde, colpevole invece di aver gridato anzitempo che il re era nudo e non indossava nemmeno un gilet giallo.

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