Tutto uguale all'altr'anno? Che aria si respira in questo Natale 2018? Parrebbe tutto identico, parrebbe!
S'affloscia invece sempre più la vera aria natalizia; s'ammoscia quasi dovessimo ripetere, a volte sforzandoci, un rito divenuto oramai falso mito. Non sto parlando a livello religioso, l'attesa di questi giorni deriva dal tempo di avvento.
Quello che stride è avvertire una monotonia sfarzosa, abbacinante ma pur sempre monotona. Quasi che il fagocitare giorni, settimane, stagioni ci portasse a ritrovarci troppo presto, quasi impreparati, al periodo a detta di molti più bello dell'anno. Scoccia, a me pare, la ritualità di gesti affrancati ormai al desueto, all'abitudine, al gelo dell'incomunicabilità dei restanti undici mesi. Dai diciamocelo: non ci sfioriamo neppure più, ci guardiamo in cagnesco nelle primavere, nelle estati, in coda, pronti come siamo a scannarci per un parcheggio, per un panino, per un posto migliore al ristorante. Ci osservassero da altri mondi resterebbero allibiti su come ci stiamo sulle palle a vicenda! E invece oggi, domani, fino alla vigilia diverremo ossequiosi, riverenziali: il copione, questo copione scritto da mani misteriose, c'impone di sorridere, di inviare i famosi "auguri a lei e famiglia", quanto di più irriverente ci possa essere nei lidi divenuti obsoleti della comunicabilità tra esseri umani.
Sgommiamo e sgomitiamo per mesi e mesi, ostentando benessere, lussi, innovativi gadget; rosichiamo oltremodo se qualcuno acquista la fiammante auto alla moda, prenotiamo vacanze da un anno all'altro per fobia incistita, lo stesso che nel solito giro dell'oca dobbiamo infarcire di falso calore, di facciata, auspicandogli il felice anno nuovo che a guardar bene è un altro che viene depennato dall'occulta lista a nostra disposizione.
Vedo umani impegnati in assalti a ipermercati, a desolanti cattedrali dell'oblio, giovani storditi dall'arrivo di chissà cosa, pensierosi ed affamati nella solitudine mediatica. Passa il tempo, travalica la stanchezza intellettiva, è abiurata da tempo ormai la freschezza della novità, la gallina mangiata nei giorni di festa, le luci accese solo per stare insieme, il calore del ritrovarsi attorno ad un tavolo, il luccichio degli occhi nel vedere un lontano ritornato per l'occasione. Se tutti i giorni sono divenuti, per molti, Natale, come potersi estasiare davanti ai giorni di luce per antonomasia?
Ci stanno trasvolando sopra il nostro limitato tempo, ci portano a preoccuparci per eventi lontani anni-non-luce, ci stuzzicano, spronandoci, a fagocitare date, eventi, barriere naturali poste per dar valore all'attimo. Ci hanno fatto credere che preventivare della nostra vita sia l'essenza granitica di questa era tecnologica. Ci siamo lasciati abbracciare dal moto ondoso dell'illogicità, un contare sconsiderato, senza alchimie, distruttore dell'essenza insita in noi che naturalmente vorrebbe che assaporassimo l'istante, l'imbrunire, il silenzio, la notte, il sorgere dell'astro. Sciocchezze c'insufflano, inciampi irritanti per chi cerca traguardi insensati, scialbi, insipidi, senza spessore.
Questa luce che vorrebbe scaldarci, ci trova invece senza alcun senso ontologico. Ci spazzerà via alla fin fine, come le decorazioni a metà gennaio riposte in fretta per dar spazio agli innumerevoli e nuovi appuntamenti stordenti, utili per chi sogna amebe inebetite in questi tempi freddi ed oscuranti.
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