domenica 16 febbraio 2025

Longform

 

Trump - Mask la fondazione del nuovo mito

di Antonio Scurati

Dei, semidei, eroi e mostri. Il mito è tornato.
Dopo decenni di meschino discorso politico scaduto al sottobanco democratico, assistiamo a un clamoroso ritorno del mito in politica. Come già negli anni '20 del secolo scorso, i nuovi leader abbandonano la razionalità analitica e argomentativa per narrazioni sacrali sulle origini e sul futuro del mondo,

Capirete facilmente perché un brivido mi ha percorso la schiena quando ho letto dell’oscena proposta trumpiana di acquistare la Striscia di Gaza così da poterla ricostruire come enclave per ricchi turisti (dopo aver verosimilmente deportato i palestinesi superstiti ai massacri di Netanyahu). Era, in buona sostanza, il mio incubo post-apocalittico riproposto come sogno di una vita di lusso efferato. Bastava sostituire gli americani ai cinesi e il punto di vista dei dominatori a quello dei dominati. La visione distopica del futuro è la medesima solo che Trump guarda ad esso con gli occhi del visionario e crudele Procuratore ai giochi della mia Nova Venezia.
I miti, dicevamo, vanno presi sul serio. Come ci insegnò Furio Jesi, nella modernità il centro della macchina mitologica è vuoto – nessuno crede davvero più agli antichi dei – ma proprio questa sua “tecnicizzazione” rende il suo funzionamento particolarmente efficace nel produrre narrazioni che donano senso al mondo comune e ne legittimano l’agire politico al suo interno. Anche se il progetto di una Riviera di Gaza non dovesse mai realizzarsi, proprio perché prolifera in assenza di un nucleo solido di verità sacre, il mito vacanziero-elitario di Trump, il suo mostruoso racconto di ri-fondazione, è già efficiente nel cancellare la storia di una terra, la sofferenza di un popolo e, in ultima analisi, l’esistenza di entrambi. (Sappiamo, d’altronde, quanto il mito tecnicizzato nazifascista sia stato tragicamente efficace nel preparare la fase operativa discendente dai suoi presupposti antisemiti, razzisti e nazionalisti. O, forse, sarebbe più corretto dire che “lo sapevamo”).
La narrazione mitologica è, dunque, al tempo stesso deliberatamente irrealistica e pregna di effetti reali. Questo passaggio, proprio perché complesso e sfuggente, va compreso a fondo. Gli oramai minoritari sostenitori della razionalità moderna, democratica, liberale e progressista, contestano da sempre a Trump di propalare fake news e ora di appoggiarsi alle pervasive reti social di Musk per attuare una sistematica, capillare opera di disinformazione. Questa contestazione è esatta ma manca comunque il bersaglio perché tira ad alzo troppo basso. La post-verità trumpiana non è una verità alternativa, parziale, tendenziosa, menzognera oideologica: è la negazione stessa, in radice, dell’idea di verità per come è stata concepita nell’età moderna.
Non a caso, il principale dei tanti pilastri delle istituzioni liberal democratiche colpite in queste settimane dal furibondo fuoco di ordini operativi presidenziali è la scienza stessa. Vale a dire l’impresa di conoscenza che nell’occidente secolarizzato ha sostituito alla verità fideistica religiosa una nuova idea di verità, oggettiva, condivisa, sperimentale e matematica. E, non a caso, vengono particolarmente bersagliate quelle istituzioni scientifiche che si pronunciano sui destini generali dell’umanità: le agenzie governative incaricate di studiare e prevenire la diffusione di pandemie e le agenzie indipendenti, ma finanziate con denaro pubblico, competenti sull’emergenza climatica.
Mentre io scrivo queste inutili righe, l’esercito di abili e immorali nerd diciottenni al servizio di Musk sta crackando i computer di quelle agenzie per sabotare l’enorme patrimonio di conoscenze scientifiche sul futuro del pianeta Terra da esse acquisite. Questo, tra i tanti, è il più essenziale e sciagurato aspetto del negazionismo mitologico di verità scientifiche attuato dal nuovo potere politico-tecnologico post-veritativo e post-democratico: l’attacco frontale alla scienza nel momento in cui pronuncia una previsione sul futuro della vita umana sul pianeta Terra. E ne prevede la degradazione, la distruzione o, addirittura, l’estinzione. Il mostruoso sacerdote ancipite del mito Maga sta dicendo: discutete pure di tutto il resto ma origine e destinazione dell’umanità sono di mia esclusiva competenza.

E, dunque, quali sono i miti di cui si alimenta la narrazione trumpiana-eloniana? Tutte le nuove destre occidentali, tanto quella europee reazionarie quanto quelle americane reazionario-futuriste, ripropongono indubbiamente una mitologia dell’età dell’oro. Si tratta della leggenda, ricorrente in varie tradizioni antiche, riguardante un tempo mitico di prosperità e abbondanza durante la quale gli esseri umani vivevano senza bisogno di leggi, godendo senza sforzo dei frutti della terra che crescevano spontaneamente da ogni genere di pianta. In questa età aurea non c’era odio tra gli individui, le guerre non flagellavano il mondo, il caldo e il freddo non tormentavano gli umani perché era sempre primavera.
Le diverse tradizioni suggeriscono ipotesi diverse sulle cause della decadenza. Significativa a questo proposito la versione di Esiodo che la attribuisce, al pari della Bibbia, alla creazione di Pandora, la prima donna. Degno di nota anche che molte varianti – il Virgilio delle per esempio – profetizzino dopo un periodo di vita ferina l’avvento di una generazione aurea che ripristinerebbe il paradiso perduto.
A chiunque obiettasse che si tratta di favole per una umanità bambina andrebbe fatto notare che questo racconto dell’età dell’oro corrisponde quasi alla lettera al nucleo mitico dell’America evocata dalla visione Maga (deregolamentazione; pieno e libero godimento dei frutti della terra sgorgati da un suo illimitato sfruttamento, drill baby drill ; immediata soluzione miracolistica dei conflitti armati, in Ucraina come in Medio Oriente, anche se a danno delle vittime, siano essi ucraini o palestinesi; corruzione causata da soggetti allogeni, siano essi gli immigrati, le donne woke o i transgender; arrivo di un salvatore rigeneratore). E, incredibilmente, coincide anche con la visione di un’eterna primavera da godere sulla riviera palestinese («hanno il mare, un clima ideale, è un luogo fantastico»).
Se tutte le estreme destre europee condividono il mito di una età dell’oro (la Gran Bretagna imperiale, la Francia della
grandeur nazionale, l’impero zarista, il fascismo il nazismo, il franchismo etc.) negli Stati Uniti d’America questi mitemi si combinano con altri di derivazione biblica, antichissimi nuclei mitologici escapisti tramandati dai libri dell’Esodo e del Genesi.

Di fronte a una minaccia esistenziale che grava sull’intera umanità (le piaghe d’Egitto, il diluvio universale) essi promettono la salvezza a un popolo di eletti, umani e non umani (la terra promessa, l’arca di Noè).
Qui il mito trumpiano si combina con quello eloniano della colonizzazione marziana che va inquadrata nella visione del longtermismo, una parafilosofia da tempo in voga tra i magnati della Silicon Valley. L’idea di partenza è che l’esistenza delle generazioni a venire conti tanto quanto quella delle persone che vivono oggi sulla Terra e che, pertanto, il nostro obiettivo morale fondamentale dev’essere quello di garantire la sopravvivenza del “potenziale umano” sul lungo termine. Nella sua versione tecno- capitalistica, però, quella che potrebbe sembrare una narrazione quasi filantropica, assume una sinistra torsione elitaria, antiumanistica e, addirittura, post-umana.
Il visionario che ritiene di avere accesso al futuro si sottrae alle responsabilità nei confronti dei contemporanei trasformandoli in una minoranza insignificante rispetto alle moltitudini che verranno. In base alla logica lungotermista, infatti, investire su un pianeta di riserva è più razionale che sostenere gli sforzi alla transizione ecologica su questo. Sulla Terra grava la minaccia esistenziale del riscaldamento globale che lo renderà presto invivibile? Prepariamoci a esodare verso altri pianeti affidando tutto il potere ai giganti del big tech che sanno come fare. Questo comporta l’abbandono di miliardi di esseri umani a soffocare in una atmosfera irrespirabile? Non importa. Le acque del Mar Rosso si richiudano pure su di loro. Un numero oscuro e infinitamente più grande di non ancoranati dovranno a questa visione lungimirante la loro esistenza.
Con rovesciamento tipico del pensiero mitico, il futuro remoto viene asservito agli interessi del presente assoluto. Elon Musk, il più grande venture capitalist del pianeta, attrae enormi capitali investiti in tecnologie avveniristiche che però generano enormi profitti qui e ora grazie alla leva finanziaria e alle ricadute tecnologiche immediate. In questo nostro asmatico, affamato, surriscaldato presente, somme gigantesche vengono investite dai multimiliardari della Silicon Valley – tra questi Peter Thiel, fondatore di PayPal e Eric Schmidt, ex amministratore delegato di Google – in progetti di crioconservazione, di allungamento della vita e di risoluzione di problemi di sopravvivenza attraverso la biotecnologia. La loro crioconservazione, la loro vita, la loro sopravvivenza, s’intende. Il solo Vitalik Buterin, fondatore della criptovaluta Ethereum, nel solo anno fiscale 2024 ha versato 665,8 milioni di dollari in moneta virtuale al Future of Life Institute, una fondazione lungotermista di cui Musk è consulente e finanziatore.
La solita illusione di poter recintare la felicità, di poter comprare l’immortalità, dirà qualcuno. Può darsi. Però oggi quella narrazione di una terra promessa al mio popolo a discapito di ogni altro, quella promessa di una mia vita eterna a discapito di ogni altra, abitano alla Casa Bianca. Sono di casa in quella residenza presidenziale dove Donald Trump medita di far costruire una copia della Grand Ballroom di Mar-a-Lago, il sontuoso salone delle feste della sua mega villa in Florida ispirato alla reggia di Versailles, nella quale il magnate è uso ricevere fino a settecento ospiti per cene di gala tra specchi ornati, soffitti affrescati, pavimenti in marmo e rifiniture in oro a 24 carati.
Una fantasmagoria attraente, non c’è dubbio. Un mito potente. Ora si tratta di convincere i più che a quel ballo, come sull’arca di Musk in viaggio verso il futuro, noi non saremo invitati. Non saremo invitati noi europei, noi canadesi, noi groenlandesi, palestinesi, messicani, portoricani, ucraini, noi donne emancipate, noi migranti, noi omosessuali, noi scienziati, noi magistrati fedeli allo stato di diritto, funzionari pubblici ligi al dovere civico, e, più in generale, non saremo invitati tutti noi miscredenti, noi diffidenti verso ogni annuncio di un’altra vita, di una vita dopo questa vita che ne giustifichi il sacrificio, noi renitenti a ogni terra che sia promessa soltanto a un popolo di eletti, a ogni immagine di grandezza che non sorga dalla piccolezza umana ma la calpesti, a ogni culto della forza che non contempli il rispetto dei deboli, noi antiquati sostenitori dell’idea democratica secondo la quale nessuno si salva da solo, nessuno è veramente felice da solo, nessun uomo è un dio o un semi- dio, noi leali all’umanità così com’è, miserabile, affannata, sublime, su questa terra brulicante sotto questo cielo irrespirabile. La vera sfida sarà, però, convincere i più che nemmeno loro, gli idolatri di Musk e gli elettori di Trump, saranno mai invitati a quel ballo in prima classe.
L’età degli eroi di Trump è un’età senza di noi. Un Titanic già affondato. Si balla sul fondo dell’oceano.

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