O la borsetta o la vita
DI MICHELE SERRA
La borsetta di Santanchè — vera o falsa ha poca importanza se non per l’ufficio legale di Hermès — mette una certa malinconia. Nelle intenzioni della sua detentrice vorrebbe essere un’icona dell’eterno femminino vittorioso, come la giarrettiera che Giovanna di Kent, secondo la leggenda, perse durante un ballo di corte, e il re Edoardo III riallacciò in pubblico alla coscia della dama, ammonendo i presenti: guai a chi pensa male.
Ma nel nostro caso la seduzione, l’eros, la reputazione delle dame c’entrano nulla, è appena un caso di contributi forse non dovuti e di controversie contabili, cose da ragionieri e non da contesse, e scomodare i sentimenti forti, l’invidia e l’onore, è parecchio sovradimensionato, rispetto ai fatti. L’ostensione della borsetta in Parlamento ricorda piuttosto il catenone d’oro sventolato dai trapper , qualcosa da mettere bene in vista per far capire “ce l’ho fatta”, e sai che notizia, che ce l’hai fatta.
Un sacco di persone che ce l’hanno fatta ritengono educato non dirlo troppo ad alta voce, si chiama understatement , consiste, fondamentalmente, nel sentirsi contenti di se stessi senza farlo pesare troppo agli altri.
Al Twiga e al Billionaire, per intenderci, se ne trova in dosi talmente trascurabili che in molti, anche potendolo fare, si rallegrano di non averci mai messo piede.
Questa idea che tutte e tutti ambiscano alle stesse cose, a quelle borsette, quei tacchi, quella maniera di portarsi nella vita, è il limite tragico dei nuovi ricchi (e anche di parecchi dei ricchi vecchi). Significa che conoscono poco il mondo. All’Ordine della Giarrettiera non si affiancherà l’Ordine della Borsetta. Se ne facciano una ragione.
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