lunedì 4 luglio 2022

Ci colleghiamo con Mosca

 

La Russia non è isolata, le sanzioni fanno flop e irritano gli anti-Putin
di Alessandro Di Battista
Mosca. Più Mosca segna vittorie in campo militare e più aumenta il rischio che la guerra possa oltrepassare i confini ucraini. D’altronde “la Russia non deve vincere” è il mantra che Joe Biden, Boris Johnson e molti leader europei stanno ripetendo. Cosa questo realmente significhi non ci è dato saperlo. Che i russi stiano sfondando in Donbass è fuor di dubbio, così come è ormai palese che l’isolamento di Mosca nel mondo fosse un’illusione.
I Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa) hanno appena concluso il XIV vertice. Cinque Paesi che rappresentano il 42% della popolazione mondiale e il 24% del Pil globale, hanno discusso (pur con alcune differenze di vedute) di un sistema alternativo allo swift, di un paniere di valute alternativo al dollaro e dell’aumento delle forniture di gas, petrolio e grano russi a Cina e India in cambio di investimenti cinesi nel settore auto russo nonché dell’entrata in Russia delle grandi catene di supermercati indiani. Primo effetto: la UltraTech Cement, colosso del cemento indiano, ha appena saldato un carico di carbone russo in yuan, la valuta cinese.
Negli ultimi giorni Putin è volato in Tagikistan e Turkmenistan. A Dushanbe ha incontrato il presidente tagiko Rakhmon, a Ashgabat ha preso parte al summit dei Paesi del Caspio incontrando il presidente iraniano Ebrahim Raisi (che, molto critico con l’Occidente, difficilmente avrebbe vinto le elezioni se gli Usa non avessero imposto nuove sanzioni a Teheran…).
L’Iran, quarto paese al mondo per riserve petrolifere (c’è chi ritiene che dopo la scoperta di nuovi giacimenti nella zona di Ahvaz sia addirittura il terzo), ha chiesto di far parte dei Brics. Stessa richiesta avanzata dal presidente argentino Alberto Fernández che, intervenendo al summit, ha definito i Brics “una piattaforma capace di sviluppare un’agenda su un futuro migliore e più giusto”.
Tre giorni fa Putin ha ricevuto Joko Widodo, presidente dell’Indonesia, garantendogli maggiori esportazioni di petrolio, grano e fertilizzanti. La strategia è chiara. Guardare ai Paesi più popolosi al mondo: Cina, India ed Indonesia sono rispettivamente il primo, il secondo e il quarto. Il mondo sta cambiando a una velocità impressionante e si ha la sensazione che tutto questo in Europa non venga percepito adeguatamente. Intanto Draghi insiste sull’efficacia delle sanzioni alla Russia senza dirci a cosa stiano effettivamente servendo. A Mosca gli effetti delle sanzioni si sentono relativamente. I prezzi sono aumentati, ma meno di quanto non siano aumentati in Europa. Il rublo è forte e, seppur con maggiori difficoltà, le persone vivono normalmente invadendo i ristoranti, i parchi pubblici e i centri commerciali, dove i negozi di abbigliamento occidentale vengono sostituiti da marchi russi. Ma Mosca non è tutta la Russia. Più ci si allontana da Mosca e più – sebbene gli effetti delle sanzioni si sentano maggiormente – aumentano i supporter di Putin. Lo si misura anche dal numero di “Z” sulle auto, sui muri ai bordi delle strade e sulle vetrine dei negozi. A Mosca è difficile vederne una.
A oggi le sanzioni non hanno portato né al collasso dell’economia russa, né alla defenestrazione di Putin, né a rapidi negoziati. Al contrario, hanno messo d’accordo persone che prima non lo erano affatto. C’è chi pende dalle labbra di Putin: per lo più sessanta-settantenni che hanno vissuto sulla loro pelle il crollo dell’Urss e la catastrofe dell’èra Eltsin. Per loro, Putin ha ridato forza e orgoglio al Paese. Si informano guardando la tv di Stato, viaggiano in platzkart (la terza classe dei treni russi), fanno la spesa nei mercati rionali e molti hanno un parente assassinato dai nazisti. Campano con difficoltà, insomma, ma avendo patito la fame negli anni 90, quelli delle privatizzazioni selvagge, pensano che il presente non sia poi così male.
Poi ci sono quelli che non hanno mai visto Putin di buon occhio (per molte ragioni, anche diametralmente opposte) o addirittura lo detestano: eppure reputano ipocrite le sanzioni. C’è chi si domanda perché l’Europa non le abbia imposte agli Stati Uniti quando bombardavano Iraq, Afghanistan e Libia. C’è chi, da oppositore di Putin, ritiene che le sanzioni non facciano altro che rafforzarlo. E c’è persino chi ringrazia noi occidentali. “Ben vengano le vostre sanzioni, così finalmente torneremo a produrre noi quel che finora compravamo in Europa”. Questa spinta autarchica e patriottica (velleitaria, visti gli accordi che Mosca sta stipulando con Pechino e New Delhi, ma pur sempre esistente) la si percepisce un po’ ovunque.
Un esempio? Aleksander, ristoratore di Volgograd. Con il turismo ha fatto affari d’oro, in particolare quando l’ex Stalingrado ha ospitato il mondiale del 2018. Ha vissuto in Pennsylvania e non ha mai votato Putin. Contrarissimo all’invasione dell’Ucraina, oggi pensa che il vero ostacolo alla pace siano gli Stati Uniti e che le sanzioni alla lunga favoriranno il suo Paese. “Importavo centinaia di chili di burrata dall’Italia ogni anno. Ora non posso più farlo. È venuto un italiano, ci ha spiegato come farla e adesso la produciamo noi”.
In tanti mi chiedono se davvero in Italia sia stato proibito un corso su Dostoevskij. Dicono di averlo letto sui giornali. Che la russofobia occidentale sia reale o meno, fa poca differenza. Qui viene percepita e anch’essa rafforza Putin. Non a caso il video della rimozione dell’insegna di un McDonald’s di Belgorod sulle note di Goodbye America ha fatto il giro delle chat Telegram dei russi.
A Mosca i Vkusno i Tocka (Delizioso e Basta), i fast food che stanno rimpiazzando i McDonald’s, vanno a gonfie vele. C’è chi li frequenta per abitudine e chi ci va appositamente per mangiare un cheeseburger russo là dove un tempo c’era una catena americana.
Se gli obiettivi delle sanzioni sono quelli menzionati dai leader europei, a oggi non sono stati raggiunti. Se poi le sanzioni sono state imposte per recidere il legame politico, economico e culturale (per certi versi i russi sono molto più “europei” di quanto non lo siano gli inglesi) tra Europa e Russia, allora sì, stanno funzionando. Occorrerà vedere chi ne trarrà vantaggio.
Intanto le parole negoziato, accordi, reciproche concessioni sono nuovamente sparite dai vocabolari di molti leader occidentali e anche questo viene notato in Russia. E chi non aveva mai creduto a Putin oggi inizia a farlo.

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