Effetto sport washing nessuno fa più caso all’odore dei soldi
di Paolo Condò
Naturalmente è facile criticare da lontano la Premier League per l’ipocrisia che ha governato prima il rifiuto e poi l’accoglimento del fondo sovrano saudita nel ristretto club delle mega proprietà che si danno battaglia sui campi inglesi. Appena l’Arabia Saudita ha revocato l’embargo a beIN Sports, la tv sportiva del Qatar, garantendo l’oscuramento dei molti siti pirata all’opera sul suo territorio, l’autorizzazione ad acquistare l’80 per cento del Newcastle è stata concessa. Amnesty International e altre associazioni umanitarie hanno intensificato la denuncia dell’operazione di sport washing (l’investimento nello sport come arma di distrazione di massa dalla violazione dei diritti umani), ma intanto migliaia di tifosi del Newcastle si riversavano fuori St. James’ Park, il loro stadio, per festeggiare l’arrivo di una proprietà persino più ricca del Psg (l’emiro del Qatar) e del Manchester City (lo sceicco di Abu Dhabi).
Che cosa diremmo se il fondo sovrano di un regime responsabile di innumerevoli violazioni ai diritti umani, la più nota delle quali è l’assassinio nel 2018 di un giornalista dissidente, Jamal Khashoggi, attirato con un tranello nel consolato saudita di Istanbul e lì fatto a pezzi, acquistasse un club italiano? Ieri la Roma, che prima dell’ingresso dei Friedkin era stata valutata dai sauditi? Oggi l’Inter, che la crisi di Suning ha riportato sul mercato? Domani il Milan, attualmente gestito da un fondo che per definizione prima o poi venderà? Diremmo che di partner del genere bisognerebbe fare a meno, e verremmo presi a pernacchie dai tifosi entusiasti per i grandi acquisti in arrivo: tifosi che avrebbero buon gioco a rinfacciare alla Lega Calcio le Supercoppe organizzate in Arabia Saudita in cambio di un bel gruzzolo di milioni e di un piatto di lenticchie dal punto di vista dei diritti (un piccolo gruppo di donne ammesso allo stadio, sai che sforzo). La Lega a sua volta ricorderebbe che numerose aziende italiane vendono di tutto ai sauditi, armi comprese: perché soltanto il calcio dovrebbe rinunciare ai suoi introiti? E alle aziende basterebbe riciclare a quel punto il video nel quale Matteo Renzi, ex presidente del Consiglio e figura chiave per portare Sergio Mattarella al Quirinale e Mario Draghi a Palazzo Chigi, declama le meraviglie del "nuovo Rinascimento saudita" davanti allo sguardo compiaciuto dell’uomo forte di Riad, il principe ereditario Mohammed bin Salman. E con una simile scala di responsabilità, te la vuoi prendere col tifoso contento perché finalmente arriva un centravanti forte?
Rory Smith sul New York Times ha definito la diffusione dello sport washing come una pura adorazione del denaro: non importa chi acquisisce il tuo club, basta che sia ricchissimo. Perché il Newcastle non dovrebbe godere dei privilegi economici concessi al Chelsea, al Psg e al Manchester City, i capostipiti del soft power? E perché nessuno ricorda — dicono questi — che la banca che compare sulle maglie del Liverpool è stata accusata di riciclare i soldi dei narcos, e chissà quali nefandezze si annidano nei club che sembrano puliti? La risposta è semplice: perché prima o poi bisogna mettere un punto, e non c’è modo diverso da una grande riforma del Financial Fair Play, con annesso tetto salariale, per cominciare a invertire una rotta avviata più di trent’anni fa. Ricordate il Nacional Medellín di Pablo Escobar? Pareva il capolinea, era la stazione di partenza.
Nessun commento:
Posta un commento