giovedì 7 ottobre 2021

D'accordissimo

 

Lucano e Muccioli, quando i sogni fanno i conti con la legge
Processati per aver infranto il Codice
di Selvaggia Lucarelli
Ci sono uomini il cui destino è quello di occuparsi degli ultimi, quando la storia non è ancora pronta a occuparsi di quegli ultimi. Dei reietti a cui nessuno sa dare un posto, di cui nessuno si vuole occupare perché occuparsene vuol dire fare i conti con coscienza e pragmatismo, essere decisionisti, sfidare i pregiudizi. Perché occuparsene vuole dire spiegare agli altri chi sono quegli ultimi che fanno paura. Pensavo a Vincenzo Muccioli, in questi giorni feroci dopo la condanna a Mimmo Lucano, a come anche lui in un contesto storico diverso, ha provato a fare là dove nessuno aveva mai fatto, a riuscire là dove gli altri – la chiesa, la politica, le comunità – avevano fallito. O forse non ci avevano mai neppure provato, perché quelli, i drogati, erano anime perse e a nessuno interessava guardarci dentro. Gli ultimi. I drogati negli anni 80, gli immigrati negli anni 2000. Vincenzo Muccioli e Mimmo Lucano.
Entrambi immensi e fallibili, la vita dedicata a una missione romantica e ciclopica che si è scontrata con vuoti legislativi, responsabilità che non voleva nessuno e un’ignoranza gretta, diffusa, secondo la quale “poteva non drogarsi, peggio per lui”, “poteva non salire su quel barcone, colpa sua”. I drogati che morivano sulle panchine, ritratti da qualche fotografo nella cronaca locale. Gli immigrati fotografati sulle panchine e poi sbattuti sulle pagine di politici nazionali. Certo, Muccioli fu un padre dispotico, usò violenza e coercizione, Mimmo Lucano ha praticato pace e inclusione, ma in fondo entrambi coltivavano lo stesso sogno di città utopica, in cui i drogati abbandonavano i loro demoni, gli immigrati i loro fantasmi. In cui si ripartiva dal lavoro, dall’artigianato, dall’atmosfera operosa che cura e reinserisce. “San Patrignano era un assembramento di naufraghi. Muccioli era Achab, poi perse il controllo”, ha detto Fabio Cantelli, la voce più lucida tra i sopravvissuti di San Patrignano. Ha usato proprio il termine “naufraghi” e naufraghi erano davvero tanti “ultimi” accolti a Riace, che nel frattempo diventava un modello, come “San Patrignano”. E mentre la politica corteggiava Muccioli e Lucano, mentre il mondo ammirava le città ideali in cui gli ultimi trovavano pace e riscatto in un’idea romantica di integrazione, “Achab perse il controllo”. Senso di onnipotenza, forse. Il culto del bene che si è mescolato al culto della persona, un groviglio di migliori intenzioni e di pessimi strumenti. Muccioli smarrì la sua verità interiore, come disse Cantelli. Per inseguire la sua utopia utilizzò ogni mezzo di coercizione possibile. Lucano ha smarrito la verità estrinseca, senza forse neppure rendersi conto di quanto in là si stesse spingendo. Ha forzato la legge, ne ha smarrito i confini. Muccioli agì per correggere gli istinti altrui, Lucano per correggere la burocrazia. L’ex sindaco di Riace ha agito con ingenuità e per un nobile scopo, secondo i più. In sprezzo delle istituzioni, secondo i suoi detrattori. E secondo la legge, che lo ha condannato a una pena dura, inclemente. “Nel processo di San Patrignano, Vincenzo Muccioli fu dichiarato non punibile in appello e in Cassazione per il reato di sequestro di persona e violenza proprio per lo stato di necessità. Ecco, là c’erano violenze, qui la dolcezza di un uomo che agiva per solidarietà, Mimmo voleva salvare chi ospitava”, ha dichiarato Giuliano Pisapia, avvocato di Mimmo Lucano, ricorrendo proprio a un parallelismo tra le due vicende. “Lucano, un bandito idealista da western”, sono state le parole del procuratore di Locri, Luigi D’Alessio. “Ci sono cose che un avvocato capisce al volo. Ad esempio la torsione delle regole del processo penale, la criminalizzazione del caso singolo come simbolo sociale”, ha scritto l’avvocato Cataldo Intrieri. “Talvolta la disobbedienza civile è necessaria”, hanno detto in molti.
Un santo, un bandito, un capro espiatorio, un simbolo.
Ognuno, alla fine, nella vicenda Lucano ha visto ciò che Lucano è stato: un intreccio di ideali e umanità, una gestione spregiudicata e incosciente della cosa pubblica, volano per una parte politica, minaccia per l’altra. Alla legge è toccato un compito infame e scivoloso: giudicare un freddo groviglio di illeciti e tecnicismi che in pochi hanno compreso, reati che hanno suoni sinistri – truffe, peculato, abuso d’ufficio, falso in certificato – e che non hanno arricchito l’uomo, ma il suo progetto, il suo sogno.
E forse qui, se si fa lo sforzo di non leggere politicamente questa sentenza, c’è l’ostacolo maggiore. Quello che impedisce di far coincidere l’assoluzione morale e quella contenuta in una sentenza. Nel caso di Muccioli, i giudici si trovarono a trattare una materia che aveva a che fare con impulsi e libertà, con l’idea di aiuto che passa attraverso una brutalità salvifica. Si discuteva del bene e del male, di uomini, di catene, di astinenza, di morte. Nel caso di Lucano, i giudici si trovano davanti una gelida sequela di reati che riguardano denaro pubblico, appalti, associazione a delinquere. L’interpretazione della legge si fa più complessa, più rigida, a meno che – certo – non si alzi lo sguardo e non si scorga l’insieme, quello che permette non solo di applicare ma anche di interpretare la legge, avvicinandosi il più possibile ai fatti – certo – ma anche e soprattutto a ciò che li ha guidati. E cioè, al fatto che Mimmo Lucano è un uomo giusto.

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